SENZAT11Se avete voglia di affrontare l’argomento “ragione” e andate a ricercarne il significato venite proiettati indietro nel tempo di migliaia di anni.

Filosofi e pensatori di ogni epoca hanno descritto la “ragione” come l’unica facoltà umana in grado di salvare e far progredire l’essere umano nella sua evoluzione.

Bene, ma nonostante profondi ragionamenti sull’uguaglianza, la fratellanza, la libertà e la tolleranza che si tramandano da migliaia di anni – e potrei andare ancora avanti – ci troviamo davanti a stermini e furti di ogni tipo, perpetrati il più delle volte dai più forti a danno dei più deboli, e a catastrofi migratorie davanti alle quali la famosa “ragione” scompare come neve al sole.

Di fronte alle difficoltà reali dell’umanità, l’essere umano può rimanere impassibile finché queste non toccano i suoi interessi individuali o quelli della comunità cui appartiene. In caso contrario, invece, l’uomo torna ad essere quello vissuto prima della scoperta della “ragione” e a essere dominato – o quantomeno molto condizionato – dall’unico comandamento cui risponde perché impresso nel suo DNA: “sopravvivi!”

Questo comandamento è cosi forte da avere la meglio su tutti i bei ragionamenti che la “ragione” può proporre. Al nostro sistema nervoso centrale, dove è impresso il comandamento “sopravvivi!”, dei dibattimenti della “ragione”, per dirla in romanesco, “non gliene può fregare di meno”.

Ciò succede anche, e soprattutto, perché quel comandamento “sopravvivi!” non è frutto dell’intelletto, formatosi in poche migliaia di anni di evoluzione del nostro cervello, quanto del costante confronto con la brutale realtà che l’uomo ha dovuto affrontare in centinaia di migliaia di anni per sopravvivere.

Se la “ragione” vuole affermarsi su quella forza ancestrale che ci accompagna da così tanto tempo deve imitarne il percorso storico ed evoluzionistico. La “ragione” deve essere allenata fisicamente a prendere gradualmente possesso di noi stessi e dei nostri impulsi ancestrali.

Io sono un prodotto del Judo, o meglio, di un certo tipo di Judo, un Judo mirante a far prevalere la “ragione” sulla voglia di rispondere a un calcio con un calcio e a tollerare un compagno che non si preoccupa della mia incolumità durante la pratica, un Judo dedicato ad una lunga e paziente edificazione spirituale e a coloro cui insegno tramite la “ragione” e l’esempio.

Sviluppare il sentimento della “tolleranza”, che è una delle figlie della “ragione”, è un arma incredibile per vincere la guerra contro impulsi negativi nella nostra società. La pratica del Judo nel rispetto dei suoi canoni e secondo i due principi Seiryoku zen’yo e Jita kyoei costituisce un nuovo e potente paradigma educativo – cosa che ripeto spesso – con una forza sconvolgente.

Se pensate a come questi due principi vengono messi in pratica nel Judo e nella nostra vita sociale quotidiana, scoprirete che costituiscono l’applicazione della “ragione” nell’azione.

Avete provato a pensare se i governanti di ogni Paese fossero stati educati a praticare questi principi come girerebbe il mondo? Pensate ai nostri politici per esempio, e mi scuso per l’esempio banale: nonostante si tratti di un caso disperato, la situazione potrebbe essere sensibilmente migliorata.

Il segreto sta nel piacere di ricercare l’eccellenza in ciò che pensate e in ciò che fate: ecco la vera “ragione”, che non ha nulla a che fare con ciò che dite.

Alfredo Vismara Hanshi