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Università degli studi di Enna “Kore”
Facoltà di Scienze dell’uomo e della società
Corso di Laurea in Scienze delle attività motorie e sportive
TESI DI LAUREA
La funzione educativa del Judo
Allievo:
Salvatore Monachelli
Relatore:
Prof. Salvatore Pignato
____________________________________________________________
Anno Accademico 2013-2014 2
Dedico questo lavoro ai miei genitori, mia sorella e mio nonno, che con grandissimi sacrifici hanno reso possibile il raggiungimento di questo piccolo traguardo.
Ringrazio l’intera mia famiglia, che mi ha aiutato a superare i momenti più critici.
Desidero ringraziare il Prof. Salvatore Pignato, relatore di questa tesi, per la disponibilità e l’aiuto fornitomi durante la stesura.
Proseguo ringraziando i miei amici, con i quali ho avuto il privilegio di condividere questa magnifica esperienza.
Infine ringrazio i miei maestri, che con pazienza e impegno mi hanno trasmesso il loro amore per il Judo. 3
Indice
Abstract pag. 5
Introduzione pag. 7
Capitolo I
L’educazione e la formazione dell’uomo secondo G.M. Bertin
I.1. L’uomo Postmoderno pag. 10
I.2. Il problematicismo di Bertin pag. 12
I.2.1. Zarathustra e il senso del “dono” pag.18
I.2.2. Verso un’educazione intersoggettiva pag. 20
I.2.3. Le dimensioni della formazione pag. 23
I.3 Educare attraverso il movimento pag. 28
Capitolo II
J.Kano: la funzione educativa del Judo nella formazione dell’individuo
II.1. La nascita del Judo pag. 33
II.2. Le tre culture pag. 35
II.3. Dall’estetica all’etica pag.38
II.4. Il Judo come mezzo per raggiungere l’ autorealizzazione pag. 41
personale
II.5. Le potenzialità nascoste: Kata e Randori pag. 42
II.6. Lo sviluppo della metis e della serendipity attraverso il Judo pag. 45
II.7. Il Maestro e la trasmissione: Shu-ha-ri pag. 46
II.8. I simboli della pratica pag. 48
II.8.1 Il rito: la cerimonia dell’anno nuovo pag. 49
Capitolo III
L’importanza del Judo nello sviluppo motorio del bambino
III.1. Le capacità motorie pag. 51
III.1.1. Le capacità organico-muscolari pag. 51
III.1.2. Le capacità coordinative pag. 56
III.2. L’apprendimento della tecnica del Judo pag. 59
III.3. Lo sviluppo delle capacità motorie in relazione pag. 64
alle tappe auxologiche 4
III.4. La pratica del Judo nella prima età scolare pag. 70
III.5. La programmazione dell’apprendimento nel Judo pag. 74
Conclusioni pag. 77
Bibliografia pag. 79
Sitografia pag. 80 5
Abstract
L’obiettivo di questa tesi è riconsiderare il Judo nella sua funzione educativa e, allo stesso tempo, valorizzarlo trovando riscontri sia nelle ricerche pedagogiche di G. M. Bertin sia in quelle psicologiche di A. Maslow. L’analisi delle ricerche di G. M. Bertin e di J. Kano, svolte in epoche e in contesti assolutamente diversi, mettono in luce la loro idea di educazione. Bertin, attingendo alla ricerca filosofica di A. Banfi, chiarisce che la realtà è problematica, poiché formata dall’integrazione, più o meno equilibrata, delle istanze soggettive e oggettive. L’analisi della realtà di G.M. Bertin risulta molto vicina a quella della tradizione orientale a cui si accosta il pensiero di Kano. Nella visione orientale, ogni esperienza, sia fisica che psichica, non esiste in sé e per sé, non è autonoma, indipendente, ma consiste in un centro di relazioni (soggettive e oggettive).
L’obiettivo dell’educazione, sia per Kano sia per Bertin, è la trasmissione del senso del “dono” che, essendo fine a se stesso, non pretende contraccambi. Entrambi pensano all’educazione come il veicolo che combatte l’egocentrismo. I principi educativi che costituiscono le due pedagogie sono a loro volta in accordo: il principio di “razionalità” del Bertin si ricollega al “miglior impiego dell’energia” di Kano; il principio etico di Kano: “realizzare se stessi per progredire insieme“, a sua volta, si ricollega all’impegno etico del Bertin: “realizza te stesso realizzando gli altri“.
Le ricerche di A. Maslow confermano che il processo di autorealizzazione rende, paradossalmente, le persone più autentiche, aperte al prossimo, meno interessate all’avere e più all’essere. L’educazione autentica deve dirigersi verso l’autorealizzazione personale. Il Judo, in conclusione, si propone come metodo educativo pluridimensionale, integra le diverse istanze dell’uomo (corpo, mente, emozioni, etica, estetica) contribuendo a formare individui pienamente autorealizzati. 6
Abstract
The purpose of this thesis is to consider the Judo in its own educative role and, at the same time, to value this sport finding out about comparisons both in the pedagogical studies made by G. M. Bertin, and in the psychological ones made by A. Maslow. The analysis of the studies of G. M. Bertin and J. Kano highlights their thought of education; it carries out the position of teaching the reality. Bertin, gleaning at the philosophical study of A. Banfi, explains that the reality is puzzling , because it is featured by the integration, more or less balanced, of the subjective and objective requests. The analysis of the reality made by G. M. Bertin results in agreement with the one of the Oriental tradition which the thought of Kano is compared; it suggests that each experience, both physical and psychic, doesn’t exist in itself, it is neither autonomous nor independent, but it consists in a core based on relationships (both subjective and objective).
The purpose of the education, in agreement with Kano and Bertin, is the feeling’s transmission of the “gift” that, being an end in itself, doesn’t claim returns; they plan a form of education that fights against the individualism typical of our days. The educative principles, representing the two pedagogy studies, are in turn in agreement: the “rationality” theory of Bertin is connected to the “best use of energy” study made by Kano; the ethical principle of Kano: “realize yourself to make progress together”, in turn, is connected to the ethical task made by Bertin: “realize yourself realizing the others”.
The studies made by A. Maslow prove that the self-realization process makes, paradoxically, people more genuine, who are opened to the others, who are less interested in what they have got and more in who they are; a real education, that being so, must be directed to the personal self-realization. In conclusion, the Judo, is proposed as an educative multi-dimensional method, that integrates the various man’s requests (body, mind, emotions, ethics, aesthetics) contributing to create self-realizing individuals. 7
Introduzione
“Se noi mettiamo insieme dei bimbi di tre anni, arabi ed ebrei, figli di comunisti e di fascisti, bianchi e neri… dopo un quarto d’ora di incertezza cominceranno a stabilire rapporti e a giocare insieme (salvo litigare per la merendina). Vent’anni dopo forse si ammazzeranno, come dimostrano gli oltre 40 conflitti in atto nel mondo. Cos’è successo nel frattempo? Approfittando dell’età più recettiva abbiamo potenziato il loro senso egoico a scapito di quello sociale, impartendo un’educazione secondo le tradizioni del gruppo etnico, religioso o politico a cui apparteniamo“1.
1 Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998.p.53.
2 Contini , M. ; Categorie e percorsi del problematicismo pedagogico. (Internet) , 2006 , disponibile all’indirizzo : http://rpd.unibo.it/article/viewFile/1457/839
Gli studi di Giovanni Maria Bertin e Jigoro Kano trovano, in questa trattazione, uno spazio di dialogo. L’obiettivo di questa tesi, infatti, è quella di riconsiderare e mostrare il Judo attraverso uno scambio a distanza tra il pensiero di J.Kano (purtroppo manipolato ed equivocato nel corso della storia) e la proposta pedagogica di Bertin, riscontrandone coincidenze e obiettivi comuni.
Bertin e Kano, come avrò modo di spiegare nei rispettivi capitoli, mostrano un’educazione con l’obiettivo comune di combattere l’egocentrismo che, permeando i rapporti umani, rende di fatto le relazioni inautentiche; comuni sono anche i presupposti necessari per l’approdo a tale obiettivo.
Il termine “raggiungimento dell’obiettivo” non deve comunque trarre in inganno, poiché consiste in un processo di costruzione che non ha fine, richiede, quindi, un impegno che “non pretende un montepremi finale, che predilige il viaggio alla meta”2.
L’educazione, nei due pensieri, è diretta ad affrontare la realtà: Bertin, attingendo alla ricerca filosofica di A.Banfi, chiarisce il concetto di realtà, o meglio di esperienza della realtà; essa è definita problema in quanto scontro tra le antinomie soggettivo e oggettivo, e ha natura trascendentale, ovvero, la sintesi che corrisponde alla loro integrazione, non può essere mai assoluta e definitiva, è un processo in continua evoluzione, infinito.
Affrontare la realtà vuol dire quindi affrontarne la sua problematicità, attraverso un processo che può portare a diverse visioni integrative (tra soggettivo e oggettivo) e, purtroppo, anche a considerazioni alienanti. E’ il caso delle integrazioni egocentriche ed eterocentriche: in una troviamo una personalità alienata dall’avere, in cui l’istanza soggettiva ha annullato quella oggettiva, la cui vita è dedita a strumentalizzare e sfruttare tutto e tutti; l’altra è una personalità alienata dal dovere, che si annulla completamente nei dogmi, che non si scopre alla vita. La scelta integrativa, per Bertin, è l’unica “razionale”, la più auspicabile, poiché data dall’integrazione più ampia possibile delle istanze soggettive e oggettive, che non mira quindi alla deformazione o eliminazione delle antinomie. La personalità “razionale” accetta cioè le contraddizioni dell’esistenza, ma si impegna a risolverle sul piano stesso in cui insorgono. 8
La razionalità non va intesa nel suo senso comune, ma come “ragione nuova”, definita “proteiforme” per specificarne l’opposizione a una sua interpretazione intellettualistica, inevitabilmente unilaterale e quindi dogmatica. La ragione proteiforme è complessa: comprende da un lato le istanze estetico-emotive e dall’altro quelle etico-intellettuali. Bertin la identifica nella categoria del demonismo e la definisce come un’energia bio-psichica che integra tutte le istanze dell’uomo. L’integrazione della pluridimensionalità dell’uomo (ovvero di tutte le sue istanze: intellettuali, emotive, estetiche, etiche, organiche) è un requisito fondamentale per affrontare, in maniera “razionale”, la problematicità dell’esistenza; l’educazione, secondo Bertin, per essere autentica, deve stimolare lo sviluppo della demonicità individuale, quindi dirigersi verso l’integrazione delle istanze che la compongono.
Jigoro Kano, alla fine dell’ottocento, proponeva come principio fondamentale dell’educazione “il miglior impiego dell’energia”; ai fini della discussione è opportuno chiarire che l’energia nella cultura orientale è pluridimensionale, e tale concezione trova raffronto nella ragione demonica di Bertin. Il miglior impiego dell’energia va inteso come la soluzione migliore per affrontare la realtà; va inoltre specificata la visione che l’oriente attribuisce alla realtà: ogni esperienza, sia fisica che psichica, non esiste in sé e per sé, non è autonoma, indipendente, ma consiste in un centro di relazioni, così come il nodo di un tappeto non esiste di per sé, ma esiste in quanto è un insieme di fili intrecciati3. Secondo Kano, allora, il miglior impiego dell’energia consiste nell’affrontare le esperienze con intelligenza, integrando le varie energie che costituiscono l’uomo in modo che non si contrastino o annullino a vicenda, e orientandole verso la risoluzione dell’esperienza, che è relazione tra soggettività e oggettività. I principi di razionalità e del miglior impiego dell’energia hanno una continuità e rappresentano per entrambi il requisito necessario per un’educazione autentica, che miri alla risoluzione della problematicità dell’esistenza.
3 Pasqualotto , G. , 2011 ; Aspetti etici ed estetici nell’aikidō , In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō. Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.39-45). Pisa: Edizioni ETS , 2011.pp.41-42.
La razionalità è l’esigenza per l’uomo di sentirsi libero da un orizzonte “finito”, delimitato, chiuso nella sfera egocentrica dell’individualità, in poche parole è esigenza etica. E’ sul piano etico infatti che si compie l’istanza razionale della personalità. Secondo Bertin, alla personalità razionale spetta una doppia lotta: una concerne la vita politico-culturale, l’altra quella individuale. Sul piano politico-culturale si impegna a lottare per un mondo in cui vengano risolte le contraddizioni sociali ed economiche, per un mondo orientato a sopprimere l’alienazione; sul piano individuale si impegna a superare il proprio egocentrismo, aprendosi verso l’altro “differente”, e quindi visto come fonte di arricchimento. Bertin sintetizza il suo principio etico nel : “realizza te stesso realizzando gli altri”. Kano, dal canto suo, propone: “realizzare se stessi per 9
progredire insieme”. I due principi etici sottintendono la stessa cosa, invitano a una visione intersoggettiva dell’esistenza, aprono alla visione antiegocentrica del “dono”4.
4 Il concetto sarà approfondito nel sottoparagrafo I.2.1.
5 Casadei , R. , 2011 ; Educazione attraverso il gesto: forgiarsi come percorso di conoscenza, azione e sperimentazione, In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō. Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.103-116). Pisa: Edizioni ETS , 2011. pp.109-110.
Le due pedagogie risultano, quindi, fondate su due principi fondamentali: il primo (“l’esigenza razionale” – “il miglior impiego dell’energia”) mira a sviluppare una coscienza libera e critica; il secondo è un principio etico (“realizza te stesso realizzando gli altri” – “realizzare se stessi per progredire insieme”), che apre all’intersoggettività dell’esistenza. Tali principi portano all’obiettivo finale delle due pedagogie, che si risolve nella visione antiegocentrica della vita, cioè nel “dono”.
Jigoro Kano, in linea con la tradizione orientale, propone la trasmissione di questa conoscenza attraverso il corpo, poiché è nell’azione che si rivela il senso dell’esistenza5. Lo studio del Judo si qualifica come ricerca di unione armonica tra i gesti e una certa disposizione mentale, affina la percezione ad una sensibilità profonda attraverso cui imparare a guardare se stessi, gli altri e l’intera esistenza. 10
Capitolo I
L’educazione e la formazione dell’uomo secondo G.M. Bertin
I.1 L’uomo Postmoderno
L’ultimo scorcio del Novecento ha posto in luce sia l’enfasi che il tramonto del soggetto. In tale contesto, l’uomo vive l’opposizione tra: una sua espropriazione di valore, poiché si ritrova retrocesso nella figura di mero esecutore economico, operante, all’interno di un sistema strutturato “al” e “per” il dominio; e una sua valorizzazione come individuo che come singolo è :”cosciente della sua unicità e fragilità insieme“1. Questa è l’epoca della “morte dell’uomo”2, ciò che muore è:
1 Cambi , F. , 2007 ; Dalla crisi del soggetto all’io-multiplo, debole, aperto, flessibile/minimo come persona , In , Cambi , F. (Ed) ; Soggetto come persona (pp.17-36). Roma: Carocci Editore , 2007, p.20.
2 Foucault , M.; Le parole e le cose. Milano: Rizzoli , 1998 , pp.413-414.
3 Cambi , F. ; Soggetto come persona. Roma: Carocci Editore , 2007 , pp.19-25.
4 Chiaruzzi , G. ; Il postmoderno. Milano: Bruno Mondadori , 2002 , pp. 33-40.
5 Argentino , A. , 2007 ; Soggettività e formazione. Il problema dell’orientamento , In , Burza ,V. (Ed) ; Il soggetto come problema della pedagogia (pp.134-141). Roma:Armando Editore , 2007, p 137.
“l’io-coscienza, l’io puro, l’uomo del cogito. Quello che nasce, ermeneuticamente, è l’io non come datità bensì come costruzione, come ri-costruzione costante, come progetto e come rilancio[…]. Il soggetto postmoderno è persona, poiché dell’individualità decanta l’unicità , la costruttività , la problematicità“3.
Tale periodo storico è definito postmoderno, è caratterizzato dalla crisi degli ideali universalistici, di quelli che Lyotard chiama i grandi racconti della modernità:
“meta racconti, ovvero filosofie della storia come progetti totali, storie di emancipazione dell’umanità, di cui esempi classici sono il cristianesimo, la filosofia hegeliana, il marxismo, il liberismo economico e politico. Tutti questi meta racconti hanno una pretesa legittimante in virtù della loro pretesa universalità[…]. La fine dei grandi racconti, <<l’incredibilità nei confronti delle meta narrazioni>>, è così la specificità del post moderno: essa significa la fine dell’universalismo, la crisi del cosmopolitismo illuministico, il ritorno del <<nome proprio>> (cioè della particolarità non universalizzabile)[…]. Il postmoderno combatte quindi ogni tentativo di totalizzazione, e in questo ha una funzione di resistenza:porta guerra al tutto, è il dissidio contro la conciliazione, l’affermazione della differenza contro l’identità.[Quel che si chiede all’uomo postmoderno allora è] di saper vivere in un mondo che ha perduto il suo centro, in cui non ci sono più riferimenti stabili“4.
Nel postmoderno il pensiero diventa “debole”5, rappresentativo della precarietà esistenziale, in contrapposizione al pensiero dell’epoca moderna, reso “forte” dalle sue certezze metafisico-scientifiche.
Il capitalismo, caratterizzante la nostra società occidentale, ha permesso la liberazione dell’uomo sul piano intellettuale, sociale e politico, ma al tempo stesso ha costretto l’uomo in catene. Siamo spettatori di un ribaltamento del paradigma; il capitale, che dovrebbe essere considerato solo uno strumento, ha strumentalizzato l’uomo, 11
rendendolo seguace di una dottrina fondata sull’egoismo. L’esito di questo ribaltamento è la crisi, l’uomo si è imbrigliato nelle sue stesse catene, è diventato merce di se stesso.
“Il nostro corpo è diventato merce, la nostra mente si è trasformata in un registratore di cassa, il nostro cuore è stato imbavagliato. Benissimo. Ma, come è giusto, paghiamo un prezzo piuttosto salato. Questo prezzo è la paura“6.
6 Barioli , C. , Bernardi , M. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano , Trento : Luni Editrice , 1998 , p.44.
7 Ragnedda , M. ; Eclissi o tramonto del pensiero critico? Il ruolo dei mass media nella società postmoderna. Roma: Aracne, 2006 , pp.17-18.
8 Ivi. p.31.
9 Frabboni , F. ; Postmodernità e problematicismo. Un’equazione possibile , In , Dalle Fratte , G. (Ed) ; Postmodernità e problematiche pedagogiche,Volume 2 (83-98). Roma: Armando Editore , 2004 , p.84.
10 Ibidem
11 Ibidem
Il timore si riversa contro la propria libertà; le decisioni individuali, infatti, comportano il rischio dell’insuccesso. Sbagliando siamo costretti ad assumerci la responsabilità che comporta la scelta; la sottomissione all’autorità diventa allora la speranza di esimersi dal rischio. Possiamo asserire che l’uomo ha ceduto se stesso:
“Il gusto, le nostre opinioni, e più in generale tutto quello che sentiamo essere per noi quanto di più intimo e personale possediamo, proviene in realtà dall’esterno. [Questo comporta]una tendenza: un’uniformità dei desideri e delle opinioni[…]. Pensare in maniera critica stanca. Ma non solo. Esso risulta essere improduttivo e l’improduttività è oggi un peccato veniale “7.
Le multinazionali mediatiche della conoscenza mirano alla globalizzazione dei saperi e delle menti attraverso l’invasione dei consumi culturali. Pasolini, già negli anni settanta, vedeva l’omologazione come spauracchio e denunciava il nuovo totalitarismo come la forma più estrema di alienazione. “Il nuovo potere dei consumi con l’ossessione di produrre, di consumare e vivere attenendosi a tali imperativi, attua una conquista globale della nostra mente“8.
” Quali sono, allora, le fondamentali emergenze a raggio intercontinentale di cui è riprovevole testimone un pianeta-terra da poco sbarcato sulle spiagge del terzo millennio?[…]il lavoro, la casa, il cibo, la salute, l’ambiente sostenibile. A questo set di emergenze, ne aggiungiamo un’altra[…]l’educazione. Qual è la ragione fondamentale per cui l’educazione si presenta sul palcoscenico del duemila come emergenza epocale?“9
L’educazione si presenta come baluardo a difesa del soggetto-persona su cui incombe l’incubo dell’ uomo-massa, che si ritrova “titolare di un encefalogramma piatto: il pensiero unico“10, si presta a difesa del soggetto-persona, che vive in un contesto nella quale la globalizzazione economica ha posto il binomio produzione-consumo a totem di venerazione11. 12
Siamo di fronte a un uomo che non dispone del controllo cognitivo necessario a vagliare le informazioni in modo critico e personale. Questa umanità ha a disposizione “una macchina della mente fuori uso, del tutto incapace di intercettare criticamente e selezionare la cultura di massa attraverso la personalizzazione critica dell’intervallo esistente tra il messaggio e la fruizione dello stesso“12, questo impedisce al fruitore di controllare l’enorme “flusso di informazione elettronica che manomette – ora dopo ora – l’orologio della nostra vita affettiva, culturale, estetica ed etico-sociale “13.
12 Ibidem
13 Ibidem
14 Ibidem
15 Il concetto sarà approfondito nel capitolo dedicato alla pedagogia di G.M. Bertin.
16 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , pp.50-53.
17 Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968 (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).
18 Contini , M. ; Categorie e percorsi del problematicismo pedagogico. (Internet) , 2006 , disponibile all’indirizzo : http://rpd.unibo.it/article/viewFile/1457/839.
Questa linea pedagogica identifica l’educazione con l’integralità della persona, si erge a baluardo della sua singolarità. “Dentro ai paesaggi oscuri e ontologici del razionalismo economico, l’educazione è impegnata in un’impresa utopica: la formazione di una cittadinanza consapevole, attiva e solidaristica“14; si pone l’obiettivo esistenziale di popolare un nuovo mondo che sappia costruirsi secondo “ragione”15. In questa prospettiva possiamo allora definire “forte” il pensiero che rilutta ogni limitazione e chiusura, che rifiuta le costrizioni concettuali, dogmatiche ed astratte. E’ forte il pensiero che rifiuta costantemente il settorialismo, l’unilateralità, se non soccombe al plurale e diverso, esercitando nei loro riguardi un’analisi della sua problematicità attraverso cui crescere e progredire. E’ forte “se fa del momento di problematicità che le è costituitivo il principio del proprio sviluppo e del proprio arricchimento creativo[…]debole se si lascia sommergere e confondere da esso in funzione dell’aggravamento del disordine esistenziale“16.
I.2. Il problematicismo di Bertin
Una prassi educativa autentica prospetta un uomo libero, proteso verso un processo continuo di autorealizzazione17. Il Problematicismo pedagogico di Bertin, seguendo una linea metodologica di tipo “trascendentale-fenomenologica”18, vuole indicare un percorso antidogmatico che mira a sviluppare nell’uomo la capacità di ritrasformare continuamente se stesso e, con se stesso, il mondo.
L’indagine dell’esperienza pedagogica esige innanzitutto la definizione del concetto di esperienza; essa è definita da Banfi come il rapporto integrativo tra soggetto-oggetto e oggetto- soggetto, esprime inoltre il principio regolativo – in senso kantiano – del suo 13
processo, cioè l’idea trascendentale19. Dalla definizione del termine esperienza se ne comprendere la natura problematica, poiché è formata dalla relazione tra le due antinomie: soggettivo e oggettivo.”Filosofica”, secondo Bertin, è la risoluzione della problematicità diretta a integrare la molteplicità delle forme in cui la stessa problematicità si manifesta, ovvero considera filosofica la risoluzione integrativa (intesa come esigenza) degli aspetti soggettivi e oggettivi dell’esperienza20. L’integrazione delle antinomie, soggettivo-oggettivo, si attua in un processo infinito in quanto trascendentale; la sintesi che le corrisponde non può mai essere assoluta e definitiva, essa ha, per l’appunto, il carattere della problematicità.
19 In I. Kant il termine designa l’<< a priori >>, come ciò che non deriva dall’esperienza, ma è condizione del costituirsi di essa. Si contrappone, pertanto, a ‘empirico’, in quanto questo è derivato dall’esperienza, e a ‘trascendente’, inteso come ciò che oltrepassa l’esperienza e non si ritrova in essa, mentre il t. è valido e applicabile solo nell’ambito dell’esperienza, esprimendo la legge della conoscenza degli oggetti dell’esperienza. Kant pertanto definisce trascendentale lo studio delle forme o principi a priori costitutivi dell’esperienza. In particolare, in Kant, principi t. sono le leggi del pensiero, in quanto regole della conoscenza; appercezione t., o pura, o originaria, è la rappresentazione << io penso >> (l’autocoscienza), la quale, mentre condiziona e accompagna tutte le altre rappresentazioni, non può essa stessa essere condizionata e accompagnata che da sé. http://www.treccani.it/enciclopedia/trascendentale/
20Bertin , M.G. ; Educazione alla ragione. Roma: Armando Editore , 1995. p. 31.
21 Ivi pp. 97-98.
22 Ivi p.99.
23 Ivi p.100.
I poli dialettici dell’esperienza (soggetto e oggetto) risultano irriducibili l’uno all’altro; le operazioni dell’idealismo (che riconduce l’oggetto al soggetto, quindi allo spirito) e del positivismo (che riconduce il soggetto all’oggetto, quindi alla natura) risultano quindi operazioni astratte che prescindono dalla realtà.
Il rapporto integrativo delle componenti soggettive e delle componenti oggettive può risolversi in atteggiamenti della personalità diversi. Secondo Bertin, a seconda che nella risoluzione del rapporto prevalga il momento soggettivo, quello oggettivo o quello comprensivo, sono possibili tre atteggiamenti fondamentali: egocentrico, eterocentrico e d’integrazione; i primi due atteggiamenti saranno definiti dal Bertin alienazioni della personalità21. L’alienazione egocentrica: “mira a catturare il mondo assumendolo sul piano dell’avere: è soprattutto desiderio di possesso“22. Il desiderio di possesso può rivolgersi: al denaro, al prestigio, alla fama, al potere; queste risultano tutte manifestazioni di un unico atteggiamento di natura egocentrica. L’egocentrismo si protende tra due estremi: quello della minimizzazione dell’individualità, risolta sul piano della banalità; quello dell’estrema esaltazione, trasportata sul piano velleitario dell’eccezionalità. In tale alienazione l’altro è visto solo come mezzo, strumento, compagno o nemico di una vita che è una corsa verso l’acquisizione di potere: “avere o mezzo di avere“23. L’alienazione eterocentrica oppone al desiderio di possesso il senso del dovere, ” il dovere incarnato in un oggetto o in un sistema di oggetti che sappia 14
suscitare il senso dell’assolutezza“24. L’oggetto, a sua volta, può orientarsi in senso egocentrico ( il proprio lavoro, la propria famiglia) o in senso universale ( la scienza, la religione, la giustizia), è comunque vissuto come valore assoluto in cui, l’eterocentrico, trova l’annullamento. La scelta integrativa secondo Bertin è l’unica “razionale”, accetta le contraddizioni dell’esistenza, ma impegnandosi a risolverle sul piano in cui insorgono, è caratterizzata da una vita personale che non trascende le sollecitazioni provenienti dal mondo in cui il singolo è inserito, ma le compone in un piano in cui esse si incontrano per una concreta opera di mediazione storica e sociale. L’integrazione si svolge su un piano che impegna la personalità alla soluzione delle antinomie soggettivo e oggettivo in modo razionale, cercando l’integrazione più ampia possibile delle loro reciproche istanze anziché la deformazione o l’eliminazione delle una o dell’ altra25.
24 Ivi p. 103.
25 Ivi p. 106.
26 Ivi p.32.
27 Ibidem
28 Ibidem
Bertin non intende la razionalità come un elemento teoretico, bensì come atteggiamento teoretico-pratico che, oltre a denunciare l’irrazionale (ovvero quelle linee di pensiero unilaterali e rinchiuse dal proprio limite), è propositivo nel trovare modalità di attivazione del processo d’integrazione. La razionalità, data questa premessa, è un impegno che ha natura etico-razionale, richiede scelte e responsabilità che si risolvono nella saldatura tra il momento della problematicità e il momento di razionalità dell’esperienza26. Il momento di problematicità esprime la condizione data all’umanità, il momento di razionalità invece rappresenta la destinazione prescelta; entrambi i momenti “esigono la partecipazione dell’uomo a tutte le forme in cui l’esperienza si manifesta storicamente, e quindi aderenza alla realtà, in quanto solo la realtà può indicare le strutture utili e fornire le forze necessarie all’attuazione dell’impegno, e fedeltà alla ragione, principio direttivo e organizzativo dell’attuazione medesima”27. Aderenza alla realtà e fedeltà alla ragione presuppongono una coscienza storica, ovvero la consapevolezza dell’unione profonda che lega passato, presente e futuro; solo questa consapevolezza può orientare l’esigenza razionale al futuro (in quanto appunto, come esigenza, costituisce “un compito da assolvere diretto all’avvenire“28) non dimenticando il passato e riconoscendo il presente, così da trovare le indicazioni più opportune per l’attuazione di azioni razionali.
Bertin quindi, si poneva contro la filosofia concepita come pensiero puro, prospettava una pedagogia dell’impegno capace di combattere sia la pedagogia della certezza (pedagogia dogmatica) sia la pedagogia del dubbio (pedagogia scettica) in quanto 15
l’impegno è: ” negazione della certezza e negazione del dubbio, problematicità dell’uno e dell’altro “29. Il Bertin proponeva una pedagogia dell’impegno etico con l’obiettivo di:
29 Scuderi , G. ; Il razionalismo critico come problema pedagogico: Banfi,Bertin e il senso della pedagogia. Cosenza: Pellegrini Editore , 2005 , p. 96.
30 Ivi. pp.96-97.
31 Banfi , A. ; La persona, il problema e la sua attualità. Urbino : Edizioni Quattro venti , 1980 , p .44.
32 Scuderi, G. ; Il razionalismo critico come problema pedagogico: Banfi,Bertin e il senso della pedagogia. Cosenza: Pellegrini Editore , 2005, p.102.
“Educare alla vita etica, accogliendone l’esperienza e la problematicità senza abbandonarsi allo scetticismo e senza rifugiarsi nel dogmatismo[…] affinché l’uomo possa assumere di fronte ad essa, integrale, la responsabilità di una decisione, individuale e collettiva, e sappia inserirsi con ampiezza di prospettive e consapevolezza di umanità nel mondo della storia che attende dalla sua opera senso e direzione“30.
L’uomo, visto in questa prospettiva, è esso stesso problema. Banfi specifica che:
“Qui problema non deve avere il senso negativo che gli si attribuisce comunemente da un punto di vista teorico-dogmatico, come di una deficienza, per rispetto alla soluzione. Qui problematicità è una cosa sola con la vita; è positività assoluta di fronte al limite negativo di ogni determinazione. La persona, nella coscienza d’altri o di sé – e la prima è sempre condizionata dalla seconda – proprio perché è assoluto problema, è vita assoluta, principio dinamico, attualità di processo infinito“31.
La personalità è rapporto problematico tra soggetto e mondo, è possibilità di tale rapporto in direzioni infinite, nessuna necessaria, ed è per questo che la personalità si costituisce come atto di scelta, a garantire la propria libertà. Questa scelta è drammatica in quanto contrasto tra oggettivo e soggettivo, tra io e mondo; nasce allora l’esigenza etica espressa nella formula “realizza te stesso realizzando gli altri”. L’esigenza etica implica che le complesse istanze oggettive, tra loro contraddittorie, trovino nel soggetto la disposizione emotiva ed intellettuale ad assumerle e , ovviamente, la capacità di attuarle; inoltre necessita che le istanze soggettive trovino nel mondo un’adeguata possibilità di affermazione, cioè che l’ambiente si costituisca, nelle sue direzioni sociali e storiche, come orizzonte generatore di autenticità, di demonicità individuale .
“Si comprende perciò che la personalità orientata in direzione razionale debba impegnarsi sul piano politico culturale e sul piano della vita individuale, impegnarsi cioè, da una parte, a lottare per un mondo in cui siano superate contraddizioni sociali ed economiche, alienazioni varie, a lottare per una cultura che sopprima l’antinomia tra umanità e scienza, tra civiltà e tecnica“32
Il monito di un’educazione così intesa, quindi, invita a non subire passivamente la propria vita, ma a renderla oggetto di una costante costruzione e ricostruzione, si scaglia 16
contro un’umanità condannata a replicare costantemente “il copione di un’antica nevrosi“33, propone una progettazione esistenziale intesa come:
33 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , p.32.
34 Ibidem
35 Scuderi, G. ; Il razionalismo critico come problema pedagogico: Banfi, Bertin e il senso della pedagogia. Cosenza: Pellegrini Editore , 2005, p.113.
36 Ivi p.115
37 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , p.33.
38 Ivi p.29
“orientamento, assunto più o meno consapevolmente dal soggetto, rivolto ad elaborare, vagliare e unificare aspirazioni, criteri di valori e obiettivi di azione sul piano di un << quotidiano >> vissuto in rapporto al futuro [ e proteso] a configurarsi non semplicemente in funzione dell’adattamento alla realtà presente; ma anche(ed anzi prevalentemente)in funzione di un << possibile >> ipotizzabile dall’immaginazione, effettuabile mediante l’intelligenza e concretabile in un processo incessante di costruzione e decostruzione dell’esperienza in cui il soggetto (singolo o collettivo) è storicamente inserito e, ovviamente, proiettato al futuro“34.
“Solo l’incitamento a <<trascendersi>> può costituire una degna prospettiva etico-pedagogica“35, ecco allora nascere l’esigenza di un nuovo modello educativo rivolto allo sviluppo della capacità di trasformare se stessi e , con sé, un nuovo mondo. Un nuovo modello, questo della trasformazione, in cui la ragione si arricchisce di immaginazione e di sensibilità, assorbe in se le forme molteplici della vita, tende a farsi razionalità nuova36. Questa nuova ragione è definita “proteiforme” per riaffermarne l’opposizione a una sua interpretazione intellettualistica, inevitabilmente unilaterale e quindi dogmatica. Essa è complessa: da un lato estetico-emotiva dall’altro etico-intellettuale; Bertin la identifica nella categoria del demonismo e la definisce: energia bio-psichica che, integrando tutte le istanze dell’uomo, è orientata ad affrontare l’attuale in direzione del possibile, opponendo alla statica della massificazione la “differenza” del creativo37.
“La differenza rappresenta il principio per il quale ogni uomo ha diritto a non essere considerato elemento indistinto di un pluralismo informe e/o mezzo per funzioni che lo << necessitano >> trascendendo la sua consapevolezza e soprattutto il suo consenso. Ha diritto, invece, ad essere considerato come potenziale portatore di una trascendenza esistenziale (intesa nel senso nietzscheano del superamento dell’uomo nell’immanenza), da rendere, anziché velleità utopica,volontà lucida e audace di individui e di gruppi (sostenuti, nella dimensione futuro, dall’appoggio di masse sempre più vaste e sempre più consapevoli) di sfidare il mare – sconfinato e tumultuoso, ma aperto alla speranza – del possibile“38. 17
Il “superamento” si svolge secondo tre direzioni:
“1) come differenza del soggetto da se stesso, e quindi si fa valere come legge di costante inquietudine che impedisce al soggetto di chiudersi nel già acquisito e nel già fatto, e lo sospinge al rischio del farsi e del divenire; 2) come differenza rispetto agli altri, per cui il soggetto è stimolato a realizzare la propria individualità come inconfondibile rispetto a quella degli altri, e perciò è incitato a cercare in se stesso(nella costruzione di sé), e non in modelli provenienti da altri o da altro, il significato di una propria destinazione vitale; 3) come differenza dell’umanità (di cui il soggetto è partecipe e corresponsabile) dal proprio essere attuale, in questo caso la differenza agisce (mediante un crescendo di consapevolezza da parte di singoli e di gruppi) quale rifiuto dell’attuale linea di sviluppo dell’umanità, dominata com’è questa da tendenze contraddittorie (la massificazione da un lato, la conflittualità dall’altro), nella volontà di una trasformazione esistenziale che le assicuri la possibilità di rendersi altra da quella che appare oggi“39.
39 Scuderi, G. ; Il razionalismo critico come problema pedagogico: Banfi,Bertin e il senso della pedagogia. Cosenza: Pellegrini Editore , 2005 , pp.130-131.
40 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , p.101.
41 Ivi p.102.
42 Scuderi, G. ; Il razionalismo critico come problema pedagogico: Banfi, Bertin e il senso della pedagogia. Cosenza: Pellegrini Editore , 2005 , p. 116.
Chiariamo ulteriormente questo concetto affermando, con il linguaggio poetico di Nietzsche, che la differenza esistenziale oppone l’altezza e la profondità a ciò che è basso e superficiale. Le virtù nietzscheane: libertà, nobiltà e lievità sono comprese nella categoria del demonico, che apre la differenza esistenziale alla dimensione antiegocentrica del “dono”40. Le categorie di libertà, nobiltà e lievità costituiscono “le condizioni fondanti il momento della demonicità (della << differenza >> esistenziale)“41. La libertà è un elemento essenziale per la costruzione esistenziale, essa assicura indipendenza sia, sul piano teorico, dal dogmatismo sia, sul piano affettivo, dalle abitudini e dalle routine e dall’incapacità di vivere la solitudine. La libertà esistenziale, e la saggezza derivata, aprono la strada all’uomo della nobiltà al quale spetta di condurre una lotta senza quartiere contro la morale dell’armento42, contro la decadenza dell’uomo e la mediocrità. La progettazione esistenziale raggiunge la sua piena autenticità quando, acquisita la consapevolezza dei condizionamenti a cui l’uomo è soggetto, ingaggia una “nobile” battaglia contro di essi. Da questa battaglia l’uomo sperimenta la lievità, che Nietzsche esprime nei simboli della danza e del volo, del riso e del gioco. Ad essa avviano: l’amore per il lontano ed il rifiuto del vicino, l’esercizio di una razionalità limpida e lungimirante e quindi mai strumentalizzabile dagli ideali egoistici del piccolo uomo. “Nell’esercizio di queste categorie s’impone come dominante il motivo di una razionalità << esistenziale >> squisitamente nietzscheana. Essa impedisce il cedimento ad una passionalità che ostacoli la libertà, offuschi la nobiltà, mistifichi la lievità; e favorisce la creazione di un’umanità nuova << più alta e 18
più chiara >> cui appartengono [uomini] non affamati di avere, ma disponibili a donare“43.
43 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , pp. 102-103.
44 Vedi paragrafo I.1 L’uomo post moderno.
45 Corriero , E. C. ; << Il dono di Zarathustra >>. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia (Internet) , 2007, disponibile all’indirizzo: http://mondodomani.org/dialegesthai/ecc01.htm
46 Ibidem
47 Nietzsche , F. ; Also sprach Zarathustra, Weike in Drei Bönden, Herausgegeben von K. Schelecta zwite Band München, Hanser, 1966 (Trad. it. , Così parlò Zarathustra. Roma: Newton Compton , 2010) , p. 29.
48 Ivi
I.2.1 Zarathustra e il senso del dono
La volontà di potenza, troppo spesso fraintesa, è così trasfigurata nel dono in questione. Il termine dono va inteso in senso ontologico, a chiarire una morte di dio44 che non si limita al nichilismo, “ma che anzi consegna un Essere in grado di accogliere la nuova Weisheit (saggezza), facendosi a sua volta donatore di senso“45.
Occorre, necessariamente, chiarire il concetto di dono per poterne cogliere la differenza con quello proposto da Zarathustra. Il dono implica sempre un dovere in colui che lo riceve, esso esprime il valore del donatario e non, come si potrebbe pensare, il valore del dono. Il valore intrinseco del dono ha certamente una sua importanza, tuttavia esso acquisisce valore in quanto costituisce l’essenza di chi dona, “si nutre della volontà di potenza del donante“46. Il dono è quindi violento, è affermazione di potenza. Zarathustra è colui che, essendo colmo, ha bisogno di svuotarsi: “come l’ape che ha raccolto troppo miele, ho bisogno di mani che si tendano“47. Il dono di Zarathustra è dono di saggezza, non può essere trattenuto per se stessi, la sua ricchezza deve essere comunicata a chi ha orecchie per intenderlo48.
Nietzsche traccia un concetto di dono che in qualche maniera sfugge al dono generalizzato nella premessa:
“ciò che vuole farsi dono è una saggezza che agisce sull’essenza del donante. La conoscenza di cui è in possesso, per un certo verso, modifica e costituisce lo stesso Zarathustra. Non è il donante che costituisce l’essenza della cosa donata, che << dona senso >> alla cosa da donare[…]è bensì l’oggetto da donare che agisce ontologicamente sul donante[e sul donatario]. Ma perché Nietzsche non si limita a dire che la saggezza di cui è pervaso Zarathustra viene comunicata agli uomini, e anzi insiste sul fatto che essa viene donata? Un messaggio, un annuncio [possono essere ignorati da chi lo riceve], un dono invece costringe; donare, come si è detto sopra, significa porsi su di un piano conflittuale, significa mettere il donatario dinanzi ad un ostacolo che non può essere 19
eluso[…]Egli può accettare come rifiutare, ma in entrambi i casi la sua risposta avrà significato, dinanzi al dono non è ammessa l’indifferenza. Il dono di Zarathustra non è vincolato alla relazione tra donante e donatario. In questo chi dona non infonde al proprio dono la propria essenza, avviene piuttosto il contrario. Il messaggio rivoluzionario inoltre può essere accolto solo da chi abbandona il proprio essere. La saggezza di Zarathustra è velenosa nel senso che annienta chi la accoglie, lo trasforma, lo rende differente “49.
49 Corriero , E. C. ; << Il dono di Zarathustra >>. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia (Internet) , 2007, disponibile all’indirizzo: http://mondodomani.org/dialegesthai/ecc01.htm
50 Nietzsche , F. ; Also sprach Zarathustra, Weike in Drei Bönden, Herausgegeben von K. Schelecta zwite Band München, Hanser, 1966 (Trad. it. , Così parlò Zarathustra. Roma: Newton Compton , 2010) , p.71.
51 Corriero , E. C. ; << Il dono di Zarathustra >>. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia (Internet) , 2007, disponibile all’indirizzo: http://mondodomani.org/dialegesthai/ecc01.htm
52 Nietzsche , F. ; Also sprach Zarathustra, Weike in Drei Bönden, Herausgegeben von K. Schelecta zwite Band München, Hanser, 1966 (Trad. it. , Così parlò Zarathustra. Roma: Newton Compton , 2010) , p.124.
53 Corriero , E. C. ; << Il dono di Zarathustra >>. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia (Internet) , 2007, disponibile all’indirizzo: http://mondodomani.org/dialegesthai/ecc01.htm
“un bastone la cui impugnatura d’oro recava un serpente attorcigliato attorno a un sole“50, questa è l’offerta che i discepoli fanno a Zarathustra nel capitolo della virtù che dona. “Il serpente nell’immaginario nietzscheano indica la conoscenza velenosa che viene offerta come dono, essa infatti si attorciglia al sole d’oro[…]simbolo supremo del donare“51.
“Un giovane pastore vidi, che soffocando si contorceva, si scuoteva, il volto sconvolto, a cui penzolava dalla bocca un pesante serpente nero[…]. La mia mano afferrò il serpente e strappò e strappò: – invano! non riuscì a strappare il serpente da quella gola. Allora sentì gridare da dentro di me << Mordi!Mordi!Staccagli la testa!Mordi >> […]. Ma il pastore mordé, come il mio grido gli consigliava; mordé con un buon morso! E sputò lontano la testa del serpente[…]. Non più pastore, non più uomo, – un trasfigurato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai ancora sulla terra aveva riso un uomo come rise quello!“52.
L’uomo che saprà afferrare il dono velenoso di Zarathustra sarà trasformato dalla conoscenza guadagnata; il morso alla testa del serpente lo aprirà al riso sovraumano dell’Übermensch.
“Zarathustra scende nel mondo dopo l’annuncio storico della << morte di Dio >> per comunicare che l’Essere, la struttura ontologica, che su di esso si fondava deve essere superata, deve essere trasvalutata. Questa comunicazione esorbitante e a-storica è fatta agli uomini sotto forma di dono, giacché Zarathustra sa quali implicazioni una tal <<comunicazione >> può generare. I possibili donatari non sono ancora in vista, essi per meritare il dono di Zarathustra dovranno << spezzarsi >>, dovranno abbandonare loro stessi, dovranno abbandonarsi al dono affinché esso li costituisca nuovamente“53. 20
Zarathustra stesso è costretto a rinunciare a sé, il messaggio che porta, infatti, lo costringe a spezzarsi. Egli “deve” donare poiché la sua ricchezza è tale da non poterlo contenere.
“Il donare di Zarathustra è analogo al << dare >> di ogni forza naturale – si pensi al sole – non dipende da un altro superiore donare, è un potere autonomo, in questo senso libero. Al pari della luce solare non costringe a ricambiare, perché non c’è moneta che possa adeguatamente ripagare, tuttavia, così come la luce solare, dispone di chi la riceve in una condizione diversa. Il corpo che riceve la luce può essere opaco o lucido, la sua risposta sarà differente, ma certo non potrà rimanere inalterato. Il messaggio-dono di Zarathustra chiede ancora di più: chiede che ci si disponga a ricevere la luce, che ci di disponga ad accogliere il messaggio e diventare, a propria volta, nuova fonte di luce“54.
54 Ibidem
55 Ibidem
56 Ibidem
57 Nietzsche , F. ; Also sprach Zarathustra, Weike in Drei Bönden, Herausgegeben von K. Schelecta zwite Band München, Hanser, 1966 (Trad. it. , Così parlò Zarathustra. Roma: Newton Compton , 2010) p. 33.
58 Contini , M. ; Categorie e percorsi del problematicismo pedagogico. (Internet) , 2006 , disponibile all’indirizzo : http://rpd.unibo.it/article/viewFile/1457/839
Il dono di Zarathustra viene quindi configurato come dono di amore, “è un dono libero dalle dinamiche della volontà di potenza; o meglio, la volontà di potenza stessa appare trasfigurata dal dono in questione“55. Nonostante la natura velenosa del dono esso è accompagnato dall’amore che lega ogni cosa nella totalità; il legame d’amore è anch’esso da creare, la trasvalutazione dei valori, infatti, non risparmia nemmeno l’amore cristiano. “Amare nell’accezione nietzscheana significa in definitiva creare, e creare significa donare senso“56. “Io amo colui la cui anima si dissipa, che non vuole gratitudine e che non contraccambia: perché dona sempre e non vuole tenersi in serbo“57. Possiamo dedurre, allora, che donare impone la presa di coscienza dell’altro, non più visto contro di me, ma come parte integrante del mio essere; l’io non è infatti isolabile dal prossimo. Donare può essere letto allora come “donarsi” senza nulla in cambio, andare oltre se, abbandonare l’egoismo del “piccolo uomo” per riallacciarsi al tutto, per essere in definitiva autentici.
I.2.2 Verso un’educazione intersoggettiva
“differenza, ragione e obbiettivo etico del << realizza te stesso realizzando l’altro >>, richiedono un impegno che non pretende un montepremi finale, che predilige il viaggio alla meta“58. La problematicità racchiusa in tale fondamento etico non può sfuggire; il vissuto esperienziale di ciascuno è fatto di scelte dolorose e drammatiche, da situazioni contraddittorie o da mediazioni raggiunte a prezzo di 21
difficili transizioni, ma tutto questo non fa che palesare la centralità degli altri nella nostra realizzazione. Secondo Merleu Ponty infatti: “se gli altri sono lo strumento del nostro supplizio è solo perché sono in primo luogo indispensabili alla nostra salvezza“59. L’impegno etico del “realizza te stesso realizzando l’altro” coniuga, nella riflessione di Bertin, i piani dell’esigenza etica e dell’esigenza razionale in un gioco di rimandi reciproci. Con tale principio si indica un diritto/dovere del soggetto e si precisa che la sua realizzazione deve verificarsi non contro lo stesso diritto/dovere degli altri e neppure nonostante esso, ma favorendolo. Si richiede alla progettualità tesa alla differenza, quindi, di non esprimersi in termini di individualismo o di opposizione agli altri, ma di intersoggettività, in una prospettiva etica per cui il “non confondersi con gli altri” significa costruire se stesso non contro gli altri, ma insieme a loro . “E’ una direzione in opposizione ai localismi e all’individualismo che attraversano e pervadono il nostro mondo globalizzato: tutti insieme a consumare gli stessi prodotti e a vedere la stessa televisione, ma ciascuno barricato nel suo recinto difensivo e a nascondere i propri progetti“60. L’educazione deve impegnarsi a promuovere la condivisione sia nella progettualità dei propri obiettivi sia nella loro costruzione, “nella consapevolezza di quanto, la loro realizzazione, dipenda da condizioni generali, mondiali e dalla possibilità che si realizzano anche quelli degli altri perché… o ci si salva insieme o non ci si salva affatto!”61. Questo bisogno dell’altro però può tradursi in ricerca dell’altro identico a me stesso oppure inferiore a me, tale cioè da permettermi l’esorcizzazione della sua pericolosità. In questo caso non è l’altro che incontriamo bensì la nostra proiezione, la rassicurazione delle nostre paure. L’esigenza della differenza pluralistica si fa spesso valere nella prassi educativa come piano meramente utilitario, quale sforzo di convincere del danno comune derivato dalla concorrenza tra i vari egoismi. In questo caso il pluralismo è ammesso come una realtà che evita col danno di tutti quello del singolo, questo però non comporta nessuna implicazione esistenziale dell’individuo. Sotto il profilo indicato tener conto degli altri solo per convenienza non supera l’ambito dell’egocentrismo62. E’ solo incontrandomi con le possibilità dell’altro differenti dalle mie, infatti, che attiverò occasioni di co-crescita; educare al rapporto intersoggettivo può significare, pertanto, educare a quella progettazione esistenziale con gli altri, nell’orizzonte del “possibile” (aderenza alla realtà) e aperta alla “differenza”.
59 Cit. in : Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , p.147.
60 Contini , M. ; Categorie e percorsi del problematicismo pedagogico. (Internet) , 2006 , disponibile all’indirizzo : http://rpd.unibo.it/article/viewFile/1457/839
61 Ibidem
62 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , p.71.
Se accettiamo la caduta del mito dell’identità dell’io, la morte dell’io di foucaultiana memoria, dobbiamo rinunciare anche alle implicazioni rassicuranti che esso conteneva. Ci si riferisce alle certezze e alla stabilità che conseguono all’idea di un io stabile e 22
isolabile.63 Qui si nega il carattere “totale” e solipsistico dell’io, nella convinzione che esso si costituisca e si manifesti in una rete di rapporti esposti alla problematicità, poichè l’uomo è “problema”64. La realizzazione delle proprie potenzialità non può quindi esaurirsi nell’individualità, ma trascende nella collettività. Si impone forte, allora, l’importanza del principio etico racchiuso nell’impegno: “realizza te stesso realizzando l’altro”.
63 Ivi pp. 147-149.
64 Ci si riferisce alla definizione di uomo data da A.Banfi chiarita a p.8.
65 Lefebvre , H. ; Régulier , C. ; La révolution n’est plus ce qu’elle était . Paris: Libres – Hallier , 1978 (Trad. It. La rivoluzione non è più quella . Bari: Dedalo libri , 1980) , p.183.
66 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , p. 35.
67 Bertin , M.G. ; Contini , M. ; Educazione alla progettualità esistenziale. Roma : Armando Editore, 2004 , pp.182-183.
68 Cit. in : Scuderi, G. ; Il razionalismo critico come problema pedagogico: Banfi, Bertin e il senso della pedagogia. Cosenza: Pellegrini Editore , 2005 , p.137.
Bertin propone la stimolazione del demonismo interpersonale per l’apprendimento di una comunicazione che favorisca la differenza tra tutti gli interlocutori: la libertà è strumento contro dogmi e stereotipi; la nobiltà permette di combattere contro il piatto e lo scontato, contro il mediocre; la lievità, che è volontà di donare, apre alla disponibilità verso il prossimo e il mondo. Questa visione può essere definita utopica, ma “l’utopia di oggi è il possibile di domani“65. Essa è quindi scelta di coraggio, vale come direzione e non come meta( in quanto non ha mai fine), “impedisce il compiacimento per le tappe raggiunte e le soluzioni trovate perché impone una continua tensione a trascenderle, a spostare sempre più avanti – oltre – le linee di traguardo“66. La proposta utopica di Bertin indaga la problematicità dell’esistenza, ma non ha l’obiettivo di raggiungere una meta, una risoluzione definitiva della problematicità, poichè non esiste montepremi se non la ricerca stessa.
Sotto questa luce l’imperativo pedagogico è: “Non lasciarti soffocare dalle cose e dagli eventi, non lasciarti sommergere dal gioco della casualità, dalle pressioni esterne e neppure da te stesso (da te << bisognoso >>, da te << desiderante >>); non subire la tua vita, ma rendila oggetto di un processo di costruzione, e pertanto << progettala >>“67. “Hai in te stesso e nel mondo in cui vivi riserve culturali ed etico-sociali su cui puoi contare[…] Utilizzale in direzione di una ragione progettuale e costruttiva, demonica raffinata nella sensibilità e audace nell’immaginazione: nel suo segno potrai non disperare e dare il tuo contributo, grande o piccolo che sia, alla trasformazione dell’umanità, e perciò della società e di te stesso“68. 23
I.2.3 Le dimensioni della formazione
La realizzazione degli obiettivi educativi trattati nel paragrafo precedente presuppone lo sviluppo di una personalità pluridimensionale. Le molteplici dimensioni della formazione riguardano la sfera: intellettuale, affettiva, estetica, etica e del movimento.
– Formazione intellettuale69:
69 Frabboni , F. ; Minerva, F.P. ; Introduzione alla pedagogia generale. Bari: Editori Laterza , 2009.
70 Ibidem
Nello sviluppo e nella formazione intellettuale la creatività cognitiva indica: la capacità dell’uomo di saper fronteggiare la problematicità dell’esperienza, attraverso una corretta analisi delle questioni che la costituiscono (soggettive e oggettive) e, quindi, nella proposizione di ipotesi attendibili dirette alla sua risoluzione. La creatività cognitiva, così intesa, è caratterizzata da variabili quali: la flessibilità, la prontezza e la costruttività dei processi di elaborazione del pensiero. Lo sviluppo intellettuale è pluridimensionale, Gardner al proposito parla di molteplicità di intelligenze, necessita quindi di interventi formativi che siano in grado di compensare e coltivare in modo specifico le varie intelligenze, riconoscendone la loro necessaria integrazione. Una formazione intellettuale adeguatamente orientata in senso creativo coinvolge corpo e linguaggio, si nutre degli stimoli esterni sia di natura ambientale sia sociale, attingendo dall’intuizione, confezionando un esercizio autocostruttivo permanente.
“la verifica continua degli “occhiali” con cui si guarda il mondo, la verifica dei propri modi di conoscere/pensare, di sentire, di comunicare e che richiedono il confronto con il punto di vista dell’altro, l’esporsi al loro sguardo. Imparare ad andare in profondità in se stessi, attraverso una continua auto riflessività, e il continuo esercizio del confronto con gli altri, per conoscersi, scoprendo, ad esempio imprevisti, stereotipi e pregiudizi accanto a impreviste capacità di apertura e cambiamento di prospettiva.“70
L’esercizio intellettuale qui delineato si propone come strumento di coesione dell’uomo con l’ambiente; il soggetto che apprende:
“osserva” ciò che lo circonda, interpreta e attribuisce loro significati e funzioni in relazione a se, esplicando motivazioni e interessi soggettivi.
“riflette” su ciò che lo circonda, raffronta e compara il flusso di dati esterni con gli interni e viceversa, compie inferenze, rappresentazioni, decostruisce e ricostruisce creativamente la realtà.
” esprime” , attraverso i propri linguaggi e canali comunicativi, le proprie elaborazioni.
24
E’ grazie alla cognitività fin qui demarcata che il soggetto prende contatto con la problematicità dell’esperienza, cercando, in direzione razionale, ipotesi e sperimentazioni. Grazie all’uso creativo della ragione, con la sua capacità di apprendere, sapere, riflettere, l’uomo può affrontare la sua problematicità, può intervenire nel mondo costruendolo attivamente. Un’educazione intellettuale che è volta a sviluppare questa cognitività è il primo strumento per l’autonomia, si scaglia contro ogni forma di passività e dipendenza; una cognitività così intesa è dispiegata nella rottura di stereotipi e pregiudizi, si traduce in progresso sociale, in confronti costruttivi e collaborativi.
– Formazione affettiva71:
71 Ibidem
Ogni comportamento è in qualche modo attivato o influenzato da reazioni emotivo-affettive. Più in particolare le manifestazioni dell’affettività (interesse e disinteresse) sono alla base della motivazione dell’apprendimento, condizionandolo in modo decisivo. Allo stesso modo, l’affettività, investe il campo etico-sociale, poiché sono i differenti vissuti affettivi a determinare( nel bene e nel male) i rapporti con l’ambiente, con l’altro, influenzando l’apertura relazionale, la disponibilità al confronto, al dialogo, all’amore. L’esigenza di condivisione con le persone e l’ambiente è un’istanza esistenziale innegabile, essa si manifesta nel bambino già dalla nascita; all’interno di quelle che sono le prime relazioni, fatte di sguardi e carezze, di vicinanza e protezione, si costruisce la sicurezza di base del bambino. Un bambino accettato mostra curiosità e interesse per il mondo circostante viceversa in un ambiente affettivamente spoglio il bambino si pone in opposizione e conflitto con il mondo, ne è spaventato, vive nella permanente paura dell’abbandono, vive la paura delle cose che lo circondano ed è costretto a subirle passivamente. Di fronte a tanti timori il bambino chiede sostegno; la protezione è una condizione essenziale sia per l’apprendimento dell’affettività sia per l’espressione del proprio mondo interiore in tutte le sue sfaccettature. Nel suo sviluppo il bambino acquisisce capacità di decentramento affettivo, diviene più attento agli altri e ai loro sentimenti, è più comprensivo e disponibile verso il prossimo. Attraverso tali esperienze egli rafforza la propria tensione affettiva in direzioni molteplici, sviluppa una responsabilità che lo porta alla preoccupazione dello stato degli animali e dell’ambiente che lo circonda. E’ evidente, quindi, che la predisposizione di un ambiente affettivamente accogliente porta alla conquista, da parte del bambino, di un equilibrato autocontrollo emotivo, stimola la disponibilità ad andare “verso” e “con” gli altri. Come ci spiega Maslow, ogni essere umano reca dentro di sé due serie di forze, le prime carenziali e le seconde accretive: 25
“La prima fa sì che egli si attacchi alla sicurezza e alla difesa per sfuggire alla paura, che tenda a regredire, che dipenda dal passato, che tema di crescere e di svilupparsi[…che tema di cogliere le opportunità, tema di rischiare quanto già possiede, tema l’indipendenza, la libertà e la separazione rispetto agli altri. L’altra serie di forze lo spinge avanti, verso la totalità del Sé, verso l’unicità del Sé, verso il funzionamento pieno di tutte le sue capacità, verso la fiducia di fronte al mondo esterno, nello stesso momento in cui riesce ad accettare il proprio Sé più profondo, reale, inconscio“72.
72 Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968 (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971). p. 55.
73 Ibidem
74 Frabboni , F. ; Minerva, F.P. ; Introduzione alla pedagogia generale. Bari: Editori Laterza , 2009.
75 Ivi p.54.
Possiamo semplificare proponendo lo stesso schema utilizzato da Maslow:
Sicurezza ← Persona)→Accrescimento73
La stimolazione delle emozioni accretive favorisce atteggiamenti positivi verso la vita che risulterà autenticata da sentimenti di fiducia, disponibilità, rispetto e comprensione verso le visioni del mondo diverse dalle proprie. Una dimensione affettiva così intesa pone le basi per una personalità forte, che sappia fronteggiare la problematicità della propria vita.
– Formazione estetica74 :
“essa investe l’insieme delle esperienze sensoriali, razionali e immaginative attraverso cui il soggetto interagisce con l’ambiente circostante, appropriandosi, percettivamente, cognitivamente e affettivamente, della realtà naturale e culturale, nella pluralità di forme e colori, profumi e sonorità che la caratterizzano“75. In quest’ottica, l’educazione estetica, è un’esperienza formativa diretta a più campi del sapere, è funzionale alla creatività nella molteplicità delle sue manifestazioni. La formazione estetica sollecita al recupero dell’ esteticità: negli spazi (domestici, cittadini, ecologici), nei modi (di porgerci, di esprimerci), negli oggetti (il loro accostamento cromatico, le loro proporzioni). Accanto al continuo esercizio estetico di montaggio e smontaggio della realtà, è fondamentale sottolineare l’importanza di una produzione artistica autonoma. Così ripensata la formazione estetica diventa un fondamentale strumento di revisione e ridefinizione del mondo, è strumento contro i rischi dell’alienazione e della frantumazione di sé. L’esperienza della creatività estetica rompe i propri schemi, consente l’amplificazione di sé nella totalità dell’esperienza. Essere esteticamente creativi vuol dire vivere in modo autentico, 26
con la curiosità di chi non rifiuta il confronto e lo scambio con altre sensibilità e altre intelligenze. La sensorialità e l’intelligenza estetica si configurano come dimensioni fondanti la costruttività umana, esse non si limitano a coinvolgere il campo specifico della creatività artistica/estetica, ma si proiettano nella complessità dell’esperienza di vita del soggetto, costruendo il proprio modo di rivolgersi al mondo.
– Formazione etica76 :
76 Ivi
77 Contini , M. ; Categorie e percorsi del problematicismo pedagogico. (Internet) , 2006 , disponibile all’indirizzo : http://rpd.unibo.it/article/viewFile/1457/839
La socialità è una dimensione costitutiva dell’uomo, si riferisce alla capacità costruttiva di vivere con gli altri, condividendo con loro impegni, progetti, idee e basando il proprio rapporto con la società sulla serie dei valori e delle norme che regolano la vita della comunità sociale. L’istanza sociale si presta quindi al perseguimento di una mediazione, quanto più equilibrata, tra le istanze del singolo e quelle della comunità, si traduce in comportamenti che impegnano, responsabilmente, ciascun individuo a rispettare i principi e i valori della società, partendo però dal soddisfacimento e dalla valorizzazione delle istanze particolari dei singoli individui. L’impegno etico fin qui delineato può essere riassunto nella massima bertiniana del “realizza te stesso realizzando l’altro”; tale invito nasce dalle considerazioni di un io che si costruisce nel mondo, io che è problema tra istanze soggettive e oggettive, e nella consapevolezza di quanto la nostra realizzazione dipenda dalla possibilità che si realizzino anche gli altri, “perché …o ci si salva insieme o non ci si salva affatto!“77.
L’impegno etico non si dirige solamente verso i rapporti umani, l’uomo infatti è parte di un ecosistema abitato da una pluralità di soggetti. La questione ambientale mette in campo la responsabilità ecologica di ogni individuo; la problematica sollevata nei confronti del mondo animale pone profondo rispetto a tutti gli esseri viventi, che di fatto, condividono con noi il pianeta Terra. Entrambe le questioni, ambientale e animale, vogliono dire vivere con la differenza.
“L’educazione etico-sociale si sostanzia, in tale direzione, nell’impegno a far acquisire all’allievo, fin dai primi anni di vita, atteggiamenti di solidarietà e di rispetto dell’altro, di valorizzazione delle affinità e degli interessi comuni, di riconoscimento delle differenze e delle peculiarità individuali e culturali. E’ attraverso il confronto – sostanziato da un impegno etico che si ispira ai valori del pluralismo, della democrazia e dell’antidogmaticità – che si diventa consapevoli della validità delle proprie idee, capaci di auto affermare le proprie 27
convinzioni ma anche disponibili ad accettare di modificarle, coniugando tra loro identità e alterità, rispetto della propria singolarità ma anche responsabilità verso l’altro“78
78 Frabboni , F. ; Minerva, F.P. ; Introduzione alla pedagogia generale. Bari: Editori Laterza , 2009 , p. 62.
79 Ivi
80 Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968 (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971). p.112.
– Formazione del corpo e del movimento79:
È segnata dall’apertura ai sensi di pensiero-corpo-emozione in relazione. L’educazione fisica si connota come insegnamento all’uso intenzionale e creativo del corpo, come campo formativo rivolto verso una corretta gestione e controllo della propria corporeità. Una corretta formazione corporea contribuisce:
Alla formazione intellettuale, affinando le capacità sensoriali e percettive, educando alla giusta gestione del corpo nello spazio;
Alla formazione affettiva, aiutando a controllare l’aggressività e stimolando l’apertura all’altro nei vari giochi, sviluppando la componente empatica della relazione;
Alla formazione estetica, prevedendo la ricerca dell’ armonia, dell’eleganza nel movimento, del gesto magistrale. Per gesti magistrali si intendono quelle azioni che combinano tecnica, uso ottimale della forza e tempismo. Attraverso l’esercizio, inoltre, si stimola uno sviluppo del corpo armonioso ed efficiente.
Alla formazione etica, educando al rispetto del gruppo, acquisendo conoscenza e padronanza nelle regole della comunicazione sociale e della convivenza.
Vista in questa luce l’educazione corporea diventa necessaria per l’integrazione di pensiero, corpo ed emozione nelle proprie azioni. Tale integrazione è indispensabile, poiché: “Nella situazione normale, parte delle nostre capacità sono impiegate per l’azione, e in parte
vengono sprecate per frenare quelle stesse capacità. [Nelle persone integrate] invece non vi è più perdita; la totalità delle capacità può essere tutta usata per l’azione. La persona è ora come un fiume senz’argine“80. 28
I.3 Educare attraverso il movimento
Nel sottoparagrafo I.2.3 sono state delineate, in via semplificativa, le dimensioni formative da sviluppare nell’uomo pluridimensionale; formazione educativa che è necessaria per lo sviluppo delle proprie potenzialità, della propria unicità, attraverso cui, in definitiva, superare la problematicità in direzione di ragione. Si è visto che la formazione corporea e del movimento è di primaria importanza, si connota come potente mezzo attraverso cui accedere a tutte le istanze della formazione.
L’educazione motoria è un linguaggio81 e, come tale, possiede:
81 G.Giugni cit.in : Sotgiu , P. ; Pellegrini , F. ; Attività motorie e processo educativo . Roma: Società Stampa Sportiva , 2003. p.53.
82 Màdera , R. , Cit. in : Gamelli , I. ; Pedagogia del corpo . Milano: Raffaello Cortina Editore , 2011. p 125.
una dimensione semantica, costituita dall’insieme dei fattori della motricità;
una dimensione sintattica, costituita dall’insieme dei legami dei fattori della motricità;
una dimensione logica, costituita dalla disposizione gerarchizzata dei fattori della motricità.
Il linguaggio motorio può essere utilizzato come mezzo per l’educazione di tutti gli altri linguaggi ( intellettuale, affettivo, estetico, etico); le istanze corpo-mente, date queste premesse, non possono più essere considerate a se stanti, esse, al contrario, sono linguaggi in comunicazione diretta e si influenzano reciprocamente.
Il dualismo mente-corpo tipico della nostra cultura occidentale deve essere superato. Ci siamo formati nella convinzione che il dualismo, all’origine dell’abitudine di separazione di cui soffre la nostra cultura, sia un’eredità che proviene direttamente da Platone. Da lì il sospetto con cui ancora oggi è guardato qualsiasi tentativo di riportare la mente al corpo; l’antitesi tra mente e corpo sottintende un’idea che porta a guardare con sufficienza l’accostamento delle pratiche corporee a quelle cognitive. Questa concezione può essere rivista ricomprendendo il pensiero platonico secondo l’interpretazione di Romano Màdera:
“Il corpo, in quanto organismo biologico determinato dall’eredità filogenetica, non è affatto sregolato, anzi gli istinti hanno in se stessi la loro misura[…. Cosa ci trascina dunque a forzare i limiti iscritti nell’organismo corporeo? Esattamente il corrispettivo di ciò che molte tradizioni filosofiche e sapienziali pensavano fosse la fonte della misura: la corteccia cerebrale[…. Gli esercizi del corpo, nelle scuole antiche finalizzati al controllo e al dominio delle passioni, oggi possono insegnare proprio il senso della misura, rimettendoci in contatto con la sorgente naturale di ogni rielaborazione etica“82. 29
“Il corpo dunque come misura del limite“83, tale misura è imprescindibile da una piena consapevolezza del proprio corpo e delle proprie risorse.
83 Ibidem
84 Hadot , P. , Cit.in : cit in : Gamelli , I. ; Pedagogia del corpo . Milano: Raffaello Cortina Editore , 2011.p 127.
85 Gamelli , I. ; Pedagogia del corpo . Milano: Raffaello Cortina Editore , 2011. p. 128
86 Maulini , C. , 2012 , L’allenatore-educatore nel positive youth development , In , Isidori , E. Fraile Aranda , A. (Eds) ; Pedagogia dell’allenamento. Prospettive metodologiche (187-206). Roma: Edizioni Nuova Cultura , 2012 , pp.188-189.
Nella filosofia delle origini la dimensione fisica rivestiva un ruolo centrale. La paideia si configurava come integrazione di esercizi fisici e spirituali che comprendevano, fra l’altro, il controllo del regime alimentare, l’arte del dialogo, la pratica del silenzio e lo sviluppo delle capacità di concentrazione e meditazione. La distinzione fra esercizi del corpo e dell’anima appare dunque superata dalla consapevolezza che entrambi sono necessari: “a formare l’uomo vero, libero, forte e indipendente“84. Il corpo è quindi misura del limite: “Ma questo limite non può circoscriversi alla coscienza del << corpo interno >>; il corpo interno per << farsi mondo >>, per agire nel mondo, necessita del confronto/incontro con l’altro, come tutto ciò che di sensibile ci circonda“85.
Lo sport, alla luce di tutto ciò, può essere visto come strumento educativo, come mezzo efficace di integrazione dell’individuo. La relazione tra sport ed educazione non è pero intrinseca, non è sufficiente partecipare ad una qualunque attività motoria per beneficiare delle possibilità educative dello sport. Se esso non è intenzionalmente concepito come spazio educativo può risultare diseducativo, producendo effetti addirittura dannosi. Sono purtroppo molto frequenti gli episodi che esaltano l’intolleranza, la competizione negativa, la violenza, la focalizzazione sul risultato ad ogni costo86.
La pratica dell’allenatore è scissa tra: l’educare (trasmissione di valori) e il mero insegnare (addestramento tecnico-condizionale).
“Ciò che la società tende a dimenticare è che l’allenamento – processo di cui l’allenatore è responsabile insieme ai suoi atleti – non rappresenta solo un problema per così dire << tecnico >>, legato al conseguimento del risultato sportivo espresso dalla vittoria. L’allenamento rappresenta un crocevia di problemi psicologici, sociali, etici, economici, culturali ed antropologici che devono essere affrontati con cognizione e competenza da parte dell’allenatore. L’allenamento, come la stessa etimologia della parola lascia intendere (connessa con il concetto di << accompagnamento >> e di << guida >>), è in primo luogo una pratica pedagogica che veicola valori(o disvalori,e 30
nel qual caso non è più tale) che sono sempre connessi allo sport, alla società ed alla persona umana“87.
87 Isidori , E. , E. Fraile Aranda, A. , 2012 , L’allenamento come pratica pedagogica. I nodi del problema , In , Isidori , E. Fraile Aranda , A. (Eds) ; Pedagogia dell’allenamento. Prospettive metodologiche (7-16). Roma: Edizioni Nuova Cultura , 2012 , pp. 8-9.
88 Ivi p. 14.
89 Maulini , C. , 2012 , L’allenatore-educatore nel positive youth development , In , Isidori , E. Fraile Aranda , A. (Eds) ; Pedagogia dell’allenamento. Prospettive metodologiche (187-206). Roma: Edizioni Nuova Cultura , 2012 , p. 189.
90 Ivi p. 190.
La pratica motorio-sportiva risulta complessa, è necessario ripensarla alla luce di una teoria della complessità che superi il riduzionismo (come semplificazione dei problemi che ne sono intrinseci) ed il riduttivismo (come limitazione delle angolazioni scientifiche adottate per il suo studio) che troppo spesso la caratterizzano (Balagué e Torrents)88. Secondo Devis89, al fine di favorire la diffusione di uno sport “educativo” occorrono delle modifiche rispetto:
all’importanza sociale attribuita al risultato;
alla competizione come unico fine della pratica;
all’incitamento della rivalità, competitività e aggressività che si oppongono a certi valori morali come la cooperazione, il rispetto e l’uguaglianza;
alla sua utilizzazione ai fini polito-economici.
Pertanto se lo sport vuole essere strumento educativo necessita di opportune modifiche.
Secondo Cruz tale revisione riflette:
gli obiettivi dello sport in età scolare;
il ruolo che esercitano genitori, allenatori, arbitri e organizzatori di competizioni;
i modelli offerti dallo sport professionistico;
il trattamento delle informazioni da parte dei media90.
Il consiglio d’Europa (1967-1991) ha indicato nel documento”Lo sport per i bambini” le funzioni e i significati che esso dovrebbe avere per i giovani:
il rispetto della persona in tutti i suoi aspetti;
lo sviluppo delle capacità di valutazione delle proprie potenzialità e il miglioramento degli aspetti della propria personalità, tenendo sempre presente il rispetto di sé e degli altri;
la promozione dello sport in un ambiente divertente, ma che non dimentichi il rigore dell’apprendimento;
31
l’attuazione di una pedagogia che non porti a risultati troppo facili o a insuccessi con conseguenze gravi;
la proposta di una gamma di attività individuali e collettive;
la scelta libera dell’attività sportiva, seguendo quelli che sono gli interessi e le necessità della persona.
“Queste linee guida del consiglio d’Europa sono molto importanti per non disperdere il potenziale educativo associato all’attività fisica e allo sport come, ad esempio, la reciprocità nell’apprendimento, il miglioramento dell’autostima e della fiducia in se stessi, la costruzione di un senso di responsabilità, l’apprendimento di capacità per lavorare in gruppo, lo sviluppo di tutte le dimensioni della persona“91.
91 Ibidem
92 Ivi p.191.
93 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010. p. 119.
Lo sport è sia pratica umana, poiché permette l’espressione della totalità della persona, sia pratica sociale in quanto si svolge in uno spazio di interazione tra soggetti. Secondo Maulini lo sport, condividendo un sistema di regole necessarie alla pratica e costruendo obiettivi in maniera negoziata e partecipata, è uno strumento capace di incidere sulla costruzione dello stile di vita e sullo sviluppo della responsabilità sociale dell’individuo92. La pratica motoria-sportiva diventa educativa quindi solo se utilizzata come strumento integrativo umano (integrativa cioè delle varie istanze che compongono l’uomo) e sociale. Il Judo di Jigoro Kano si propone come “Via” di tale integrazione; la Via è un concetto espresso da Confucio e divenuto universale, consiste nel realizzare se stessi, premessa necessaria, per potersi dedicare senza riserve alla realizzazione di un ideale che si riversi nella socialità. ” La via ha un inizio unico e consiste nell’arrivare a disporre della propria potenzialità; raggiunto questo risultato si presentano infinite direzioni tra le quali si sceglie quella che valorizza la singola personalità“93. J. Kano ha sistematizzato le esperienze della tradizione guerriera traendone un metodo di unificazione dell’essere. Essere “uno” dovrebbe costituire, per Kano, la base della teoria educativa sociale, permettendo all’individuo, in modo autonomo, la scelta successiva di autorealizzazione; in questo modo vengono valorizzate le risorse umane e rispettata la singola personalità. Secondo J.F. Hernandez :
“Per aver fondato l’istituto Kodokan e diffuso nel mondo il metodo-judo, Kano assurge al rango di educatore e pedagogo internazionale. E’ il primo asiatico a cui viene riconosciuta questa dimensione culturale […. Il Judo, Via dell’Adattabilità, basato su un principio universale, è un concetto educativo totale. La sua pedagogia altruista e non-dualista, sfugge ancora abbastanza alla nostra cultura[…. La metodologia del Judo di Kano non rappresenta solo la chiave per accedere al patrimonio culturale dell’Oriente, ma soprattutto permette, attraverso educazione e formazione, lo sviluppo e la realizzazione della personalità[…. Questa chiave è basata su un 32
Principio morale che permette di impadronirsi delle componenti esistenziali della Via per poter partecipare pienamente alla vita sociale del mondo“94.
94 Ivi p. 120. 33
Capitolo II
J. Kano: la funzione educativa del Judo nella formazione dell’individuo
II .1 La nascita del Judo
Il codificatore del metodo Judo è Jigoro Kano (1860-1938). Il Professore visse la trasformazione del Giappone, da Paese feudale a Nazione industriale, conseguente alla Restaurazione del potere imperiale (1868). Iniziò la pratica del jiu-jitsu attratto dall’aspetto attacco-difesa della disciplina, con lo scopo di reagire agli atti di bullismo cui era soggetto durante il periodo scolastico. In Giappone il jiu-jitsu è una componente del bu-jutsu (l’insieme delle arti guerriere) e ne rappresenta l’aspetto disarmato. Tale disciplina si avvale di colpi, proiezioni, strangolamenti e leve agli arti con cui praticare fratture o dolore alle articolazioni.
Da questa esperienza Kano trarrà benefici che supereranno le sue stesse attese:
“Dopo 2 anni di studio e allenamento, iniziati attorno al 1878, il mio fisico cominciò a trasformarsi e al termine di 3 anni avevo acquistato una notevole robustezza muscolare. Sentivo leggerezza nell’animo e m’accorgevo che il carattere alquanto irascibile che avevo da ragazzo diveniva sempre più mite e paziente e che la mia indole acquistava maggiore stabilità. Non si trattava solo di questo: ero consapevole di aver guadagnato benefici sul piano spirituale“1.
1 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010. pp 72-73.
2 Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998. p.71.
3 Ivi pp.71-72.
” Così approdai alla convinzione che la tecnica di attacco e difesa non era l’unico aspetto utile alla formazione dell’essere umano. Altrettanto importante era il frutto che scaturiva da tale addestramento psicofisico, che poteva essere applicato con facilità anche in occasioni della vita che esulavano dal combattimento. Il metodo didattico doveva basarsi certamente sull’esercitazione attacco-difesa, ma contemporaneamente occorreva approfondire lo studio del significato profondo, che ne costituiva l’essenza“2.
L’anno 1883 segna la fondazione del Kodokan (luogo per lo studio della Via), è in questa data che ufficialmente nasce il Judo Kodokan.
“Il Judo è la Via (Do) più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale. Allenarsi nella disciplina del Judo significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell’io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del Judo“3.
Per il Professore diventa necessario ribadire che il Judo non è uno stile di Jiu-jitsu: 34
“desidero che sia compresa la finalità dell’addestramento e il perché di tanti esercizi e fatiche. Primo punto. A differenza del Jiujitsu tradizionale, che privilegiava l’aspetto tecnico pur supponendo l’esistenza di una ricerca spirituale improntata all’etica samurai, il Judo moderno offre dei contenuti del tutto nuovi, ponendo come scopo l’acquisizione della Via, considerando l’addestramento tecnico e pratico solo come mezzo. Con questo non si vuole negare il valore e la validità del Judo concepito solo come arte; ma vi è una differenza come tra il giorno e la notte tra questa concezione e ciò che si intende per << acquisizione della Via >> con la capacità di applicarla ad ogni circostanza e avventura dell’esistenza umana. E ancora: studiare il Judo nell’accezione della Via ci porta ugualmente all’apprendimento della tecnica, che rappresenta il tramite per ottenere l’obiettivo finale; mentre un addestramento rivolto esclusivamente al contenuto tecnico, qualunque possa essere l’impegno, non permette nel modo più assoluto di pervenire all’acquisizione della Via; motivo per cui diedi a questa disciplina il nome di << judo >> invece del tradizionale << jiujutsu >>[…Come ripeto ogni volta, come per scalare il monte Fuji si può partire da Gotemba, da Yoshida, o da Subashiri, così esistono diversi modi per acquisire la Via: attraverso studi teorici, oppure per la strada empirica di esperienze accumulate. Mentre la meta rimane la stessa per chi scala il monte da qualsiasi versante si cimenti; e ugualmente lo sforzo, che nel nostro caso risiede nel realizzare il principio del Miglior impiego della mente e dell’energia, cioè il Dai-do (Via Maestra) conosciuto sotto il nome di Judo“4.
4 Barioli C. , Quaderni del Bu-Sen n.3, supplemento al n.31 di Kyu-shin Do, aprile 1995. pp.134-135
5 Barioli C. , Discorsi sull’educazione, Kyu-shin Do, n. 7, 28 aprile 1991.
Il Judo è Educazione, Cultura e poi anche Sport, con questo si vuole sottintendere che il fine ultimo del Judo è la crescita di un essere umano che si impegni nel servizio di un ideale collettivo. Osservando la breve storia di questa disciplina osserviamo una sua continua strumentalizzazione: in un primo momento da parte dello stesso Giappone che lo utilizzò a fini militari; alla fine del secondo conflitto mondiale, quando il movimento judoistico assunse caratteristiche internazionali, dal sistema sportivo mondiale, colpevole di aver diffuso un Judo sportivo che, facendo leva sull’ego, trascura la formazione di quel nuovo essere umano che è l’obiettivo del sig. Kano5.
“La dottrina sociale di Kano, ispirata alla filosofia orientale, si riflette in quest’idea: mentre litighiamo sulle possibili forme istituzionali, dibattendoci nelle ideologie politiche o sostenendo il regionalismo piuttosto che un governo planetario, con la certezza che uomini schiavi dell’ego daranno comunque forma a un malgoverno, vogliamo dedicare qualche energia ad educare un nuovo essere umano che dell’ego non è schiavo? Per noi non farà gran differenza, ma la nuova generazione potrà forse scegliere con più responsabilità il futuro dell’umanità e della Terra. Questo è il grande sogno dell’Educazione, che è anche un atto d’amore verso i nostri figli e l’Universo intero. Il sig. Kano conosceva l’esperienza guerriera e la conseguente disputa sull’educazione che aveva animato il Jiu-jitsu durante 200 anni. Si era fatto un’idea di come realizzare un’educazione moderna che liberasse l’essere umano dall’ego.[… Jigoro Kano fu un uomo coraggioso che cercò di introdurre la Via nella Scuola. Non promuoveva un credo o una dottrina, ma cercava solo il progresso umano, per ottenere il quale ha parlato di 35
<< Tre Culture >>: quella fisica, quella mentale e quella spirituale, indissolubilmente unite“6.
6 Ibidem
7 Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998.p. 90.
8 Ivi p.101.
9 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p. 78.
Il Judo è intriso di due dimensioni: realizzarsi e riversare la propria realizzazione nella società. Realizzarsi invita a praticare, a ricercare il miglior impiego dell’energia; riversare la propria realizzazione nella società si riferisce al “dare” in modo intelligente attorno a noi.
“Tutti in << kimono >> a far Judo allora? No. Il judo storico vuole essere un esempio di come si possa prendere una pratica egoica come il jiu-jutsu (difesa personale) e trasformarla in una disciplina educativa, introducendovi il principio morale. Se con il termine judo intendiamo questo principio morale, allora allarghiamolo a tutti, modificando tutte le attività giovanili in senso educativo.[… Portiamo il Principio in politica, nell’industria e nel lavoro[… nei rapporti sociali, nella vita sentimentale, nelle norme igieniche. Dimentichiamo la parola judo che può sembrare promozionale per le nostre palestre e pratichiamo: << tutti insieme per crescere e progredire >>, ma intelligentemente, ragazzi, col miglior impiego dell’energia!“7.
II.2 Le tre culture
“Nell’educazione che proponiamo si diventa guerrieri al servizio del divenire, disposti a combattere ciò che si oppone a crescere e progredire tutti insieme“8. Se rendiamo forte un uomo con l’allenamento e ne potenziamo la volontà a discapito del fine etico, costruiamo un individuo che non apporta nessuno sviluppo alla società, poiché, quell’uomo, metterà le sue qualità al servizio dell’egoismo.
Secondo Kano: “Nulla, sotto il cielo, è più importante dell’educazione: l’insegnamento di un solo uomo di valore può raggiungere una moltitudine, e il sapere di una generazione può influenzarne cento altre“9.
L’educazione di cui parla il Professore è educare ad affrontare la realtà; Kano propone due principi utili a tale scopo:
Sei-ryoku-zen’yo (il miglior impiego dell’energia): attraverso cui, il Professore, ci invita ad affrontare tutte le esperienze della vita utilizzando le nostre facoltà fisiche, mentali e spirituali al meglio, senza spreco o contrasto.
36
È la pratica necessaria per arrivare all’unificazione di tutte le istanze dell’uomo e raggiungere la propria autorealizzazione.
Ji-ta-kyo-ei (realizzare se stessi per progredire insieme): la pratica quotidiana del miglior impiego dell’energia trasmette l’esperienza dell’ inter-soggettività; le proprie capacità vengono indirizzate al fine sociale. Si prospetta, in tale principio, la trascendenza dell’ego, presupposto necessario per aprirsi al “dono” delineato nel capitolo precedente.
Il Judo Kodokan si struttura in: tecnica dell’attacco-difesa; formazione fisica; coltivazione etica e mentale. A tal proposito scrive Kano:
” Anzitutto esiste la specializzazione dell’attacco-difesa, che è la base; poi quello che ci permette di acquisire un fisico forte e di coltivare la mente e l’animo, presupposti che a loro volta servono per svolgere in modo debito e auspicato i nostri proponimenti nella vita. Come si vede, il fatto di voler utilizzare le nostre capacità al fine sociale viene al terzo posto con la valenza di obiettivo finale (discorso che vale per tutte le attività umane); in altre parole, visto che l’addestramento fisico e mentale esiste in quanto mezzo per raggiungere l’ultimo obiettivo, l’allenamento dell’attacco-difesa, che ne è la base, non rappresenta che il mezzo dell’altro per ottenere lo scopo finale“10.
10 Ivi pp.79-80.
Nell’esperienza del Professore esistono quindi tre culture del Judo:
Shobu-Judo: rappresenta il livello inferiore, si riferisce all’allenamento dell’attacco-difesa usato per vincere in gara o nella difesa personale in strada. Costituisce l’esercizio di base, metaforicamente può essere paragonato alle fondamenta di una costruzione;
Rentai-Judo: rappresenta il livello intermedio, la pratica costante dello Shobu-Judo ha riscontri positivi nelle qualità fisiche e mentali del praticante; può essere riassunto nella massima: essere sani per essere utili. Rappresenta le pareti della costruzione;
Sushin-Judo: rappresenta il Judo superiore, la pratica quotidiana del miglior impiego dell’energia fa comprendere al judoista, in tutte le sue istanze, il principio etico, il Ji-ta-kyo-ei. Le proprie capacità vengono quindi indirizzate verso il fine sociale; lo Sushin- Judo costituisce il tetto dell’educazione.
La proposta di Kano, per la realizzazione dei suoi propositi, si avvale della pratica marziale della tradizione guerriera giapponese; sostituisce la “morte serena” del Bushido con: “vivere per autorealizzarsi e autorealizzarsi per essere utili”, obiettivo del Judo superiore.
Gli elementi costituitivi dell’apprendimento tecnico del Judo sono: il randori e il kata. Nel randori (combattimento libero) i due atleti esercitano le tecniche nella completa libertà, attaccando spesso e con incisività. Lo spirito del randori è diverso da quello della competizione. Esso deve essere considerato una fase di studio, viene svolto: “nello 37
spirito della << prosperità reciproca >>“11. Quando l’allievo ha assimilato i fondamentali, le forme della tecnica e i metodi di allenamento viene introdotto al kata. Questo termine può essere tradotto con forma e rappresenta il metodo di trasmissione dei principi che fondano la Scuola marziale. I kata del Judo sono12:
11 Sacripanti , A. ; Biomeccanica del judo. Roma : Edizioni Mediterranee , 1989. p 98.
12 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p.115.
13 Ivi p. 137.
14 L’argomento sarà approfondito nel paragrafo II.6
15 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p.138.
Randori-no-kata, forme dell’esercizio libero: in cui si rappresentano i principi di azione del Judo. La prima forma prende il nome di Nage-no-kata e rappresenta la forma delle proiezioni, la seconda Katame-no-kata è la forma dei controlli.
Kime-no-kata, forme della decisione: esprime lo spirito di decisione necessario al superamento del combattimento. Rappresenta il principio “dell’intenzione senza riserve”.
Ju-no-kata, forma dell’adattabilità: mostra la realtà del nuovo Judo (rispetto al Jiujutsu) nelle sue “Tre Culture”.
Koshiki-no-kata, forma delle cose antiche: ricorda il processo che dalla tradizione guerriera porta alla concezione del Judo;
Itsutsu-no-kata, forma dei cinque movimenti: è uno stile di espressione (come la danza o il teatro), fu pensato da Kano per allargare la pratica della Via anche a chi non ama misurarsi nel combattimento. Racchiude l’esperienza di armonizzazione con l’universo.
Con il termine shiai (combattimento reale) si intende la gara. Secondo Kano: “La gara è un incidente incontrato sul nostro cammino, possiamo volgerlo a nostro favore“13. Nell’educazione la gara simboleggia un problema che ci si para davanti e a cui noi dobbiamo trovare soluzione, non persegue lo scopo esteriore della proclamazione di un vincitore; lo shiai rappresenta uno strumento di verifica dell’unificazione dell’essere, persegue lo stato di mente-vuota (mushin) e l’esperienza dell’ippon magistrale (esecuzione della tecnica che sfrutta il giusto tempismo e grado di energia). Le esperienze “estetiche”14 del mushin e dell’ippon magistrale si traducono in un ampliamento di coscienza. La gara deve costituire, quindi, l’occasione per superare il proprio egoismo e comprendere la natura ultima del Judo. ” È un’esperienza formativa, basata sull’emozione (e la conseguente scarica di adrenalina) per prepararsi a fronteggiare situazioni che non utilizzano i processi cognitivi e l’elaborazione cosciente, mantenendo tuttavia la nobiltà di comportamento che l’essere umano ha conquistato nella sua evoluzione“15. Lo studio del randori, del kata e l’approdo allo shiai (che deve 38
essere rivolto alla sua funzione educativa e non a quella egoistica) sono tappe imprescindibili per l’acquisizione della Via.
II.3 Dall’estetica all’etica
L’Oriente considera il corpo come parte integrante del processo di conoscenza, lo considera mezzo non secondario alla parola. Questa filosofia considera improbabile l’approdo a una vera comprensione senza l’esperienza diretta, adoperando cioè, in senso olistico, i processi fisici e mentali. In questo senso l’approccio esclusivamente intellettuale, tipico della nostra cultura, costituisce un limite alla conoscenza stessa. L’analisi orientale non va considerata astratta o fine a se stessa, bensì essa è orientata verso l’obiettivo del superamento della coscienza ordinaria, ossia quel tipo di vivere che è definito da T. Isutzu come “abitudine al mondo“16. L’uso del corpo diventa quindi necessario alla conoscenza, ma è necessario, a questo punto, chiarire cosa intendiamo con il termine conoscenza. Come osserva Duyvendak, “la via non è una Causa Prima , né un Logos, è invece la manifestazione del processo di cambiamento e di crescita in se stessi, di volta in volta conseguente all’azione << educativa >>“17. La nozione di Via è quindi volta a disegnare un processo di crescita in se stessi, è un metodo di conoscenza. Conoscere è innanzitutto conoscersi; attraverso il corpo, infatti, può essere esperito “ciò che non può essere concepito intellettualmente“18. Le Vie orientali si servono di un processo che potremmo definire “estetico” rinviando al significato dell’originario termine greco aisthesis, ovvero a una riflessione sul ruolo della sensibilità nel processo di conoscenza. Ci si riferisce, con il termine aisthesis, non tanto all’attenzione riservata dalla Via del Judo alla produzione di bei gesti o bei movimenti, “ma anche e soprattutto all’attenzione dedicata a esercitare in modo consapevole i diversi sensi“19. Il Judo condivide con le altre vie della tradizione orientale la convinzione che le posizioni da assumere e i gesti da eseguire hanno certo una loro finalità estrinseca che si misura nella loro efficacia, ma anche il fatto che l’attenzione impiegata nell’esecuzione richiede che venga eliminato dalla mente ogni riferimento esterno: sia quelli in direzione del passato, sostenuti da una tensione a ricordare forme e sequenze corrette; sia quelli in direzione del futuro alimentati da una tensione a ottenere un risultato.
16 Cavana , L. , 2011 ; Conoscere attraverso il corpo: il contributo dell’aikidōnella formazione degli adulti , In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.87-102). Pisa: Edizioni ETS , 2011. p. 88.
17 Ivi. p.89
18 Ibidem
19 Pasqualotto , G. , 2011 ; Aspetti etici ed estetici nell’aikidō, In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.39-45). Pisa: Edizioni ETS , 2011. p.39.
La pratica è allora: “in grado di produrre una << ripresa dei sensi >> rispetto alle condizione << anestetiche >> in cui è dispersa la maggior parte delle persone per la 39
maggior parte dei loro tempi quotidiani“20. Gli aspetti estetici, date queste premesse, sono il trampolino di lancio ai risvolti etici. A differenza di alcune vie, incentrate prevalentemente sulla disciplina individuale, il Judo dedica la propria attenzione alla relazione del corpo individuale con lo spazio che lo circonda e con i corpi di altri individui inclusi in tale spazio. È in tale interdipendenza, vissuta dal praticante, che i risvolti etici si manifestano nel gesto.
20 Ivi pp. 39-41.
21 Ivi pp.41-42.
22 Ivi pp.42-44.
“va sempre ricordata l’importanza del concetto e dell’esperienza del << non sé >> [… ribadita lungo tutta la storia del buddhismo. Nello specifico si può citare anche in questo caso un passo del Dhammapada in cui si afferma che << Tutti i dhamma sono privi di sé>> [… ciò significa che ciascuna realtà, sia fisica che psichica, sia visibile che invisibile, non esiste in sé e per sé, non è autonoma, indipendente, ma consiste in un centro di relazioni, così come il nodo di un tappeto non esiste di per sé, ma consiste in quanto è un insieme di fili intrecciati“21.
La portata di tale concezione, se sperimentata nella pratica empirica, deve necessariamente avere implicazioni a livello etico:
“ossia al livello delle relazioni tra individui:ciascun essere umano – così come qualsiasi altro << essere >> – è quello che è non in base a una sua propria ed esclusiva <<essenza>>, ma in virtù di una serie – virtualmente infinita – di condizioni che lo fanno esistere: da quelle bio-fisiche a quelle culturali, da quelle genetiche a quelle linguistiche, da quelle ambientali a quelle sociali. E’ evidente allora quanto cambia la prospettiva della relazione tra i corpi alla luce di questa concezione[… ciascuno ha un proprio corpo solo perché altri corpi (a cominciare da quello dei genitori) lo fanno esistere. Da ciò discende l’enorme importanza che viene ad assumere ogni minimo movimento di un corpo: ciascun movimento non è neutro, << indifferente >>[…. Ogni minima azione provoca una catena, o meglio, una rete infinita di altre azioni o reazioni“22.
Più ciascun individuo riesce a essere consapevole di questa interrelazione con gli altri e più forte ed esteso dovrebbe essere il suo senso di responsabilità. Il Judo può definirsi allora come espressione dinamica dello Zen, un esercizio di concentrazione e meditazione che mira alla realizzazione del mushin (non mente). L’approdo al satori, la cosiddetta illuminazione, non è frutto di uno studio intellettuale, ma è il risultato di un’attività in cui corpo e mente sono sintonizzati. Quando si ha l’esperienza di tale intuizione, ovvero di una coscienza non intenzionale, non giudicante, di una coscienza che non tiene più conto delle categorie soggettivo e oggettivo, ci si trova nello stato di mente non pensante, ma tale stato non va intesa come assenza mentale, è anzi una totale e completa presenza, comporta un’intensificazione della coscienza che non vivendo più la dicotomia non separa più le antinomie dell’esperienza (soggettività e oggettività). Questo modo di intendere se stessi, di un “Io” che non può distaccarsi da 40
tutto il resto, induce a stare di fronte alla realtà non più da spettatore, ma in modo attivo e autentico. Il combattimento nel Judo non mira quindi alla vittoria sull’avversario, ma a tale espansione di coscienza. Quando ciò avviene l’azione è semplice, esprime in pieno il miglior impiego dell’energia. “Se si riesce a sperimentare, concretamente, questo stato di coscienza << non intenzionale >> si comprende, immediatamente, cosa voglia dire Kano quando afferma che il Judo è la rappresentazione pratica del principio del miglior utilizzo dell’energia fisica e mentale“23. Tale esperienza “estetica” si riversa nell’etica, poiché tale stato di coscienza non si fossilizza al combattimento, diventa un modo di essere, un modo di interpretare il mondo. Parafrasando Maslow tale esperienza è una peak experience, diventa la molla del processo di integrazione definito autorealizzazione. Nelle persone che hanno avuto tale esperienza: “l’elemento volitivo, quello cognitivo, quello affettivo e quello motorio risultano meno separati l’uno rispetto all’altro, e più sinergici; vale a dire,operano in collaborazione, senza conflitto, per raggiungere i medesimi fini“24. In tale sviluppo:
23 Tribuzio , G. ; JUDO. Educazione e Società. Milano : Luni Editrice , 2014.p.179.
24 Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).p.206.
25 Ibidem
26 Ivip.207.
“La frattura fra interiore ed esteriore, tra il sé e tutto il resto, si fa confusa e assai meno netta, e l’uno e l’altro piano sembrano permearsi vicendevolmente ai livelli supremi dello sviluppo della personalità. A questo punto, dicotomizzare sembra caratteristico di un livello inferiore di sviluppo di una personalità e del funzionamento psicologico“25.
Secondo lo Psicologo tale esperienza non può prescindere dal concreto, essa si manifesta soprattutto nei tipi di cognizione intuitiva ed estetica: “in quanto esistono alcuni aspetti della realtà che non possono conoscersi in altro modo“26.
Le peak experience secondo Maslow :
Possono mutare la concezione che una persona ha di se stessa in senso salutare;
Possono mutare la sua concezione delle altre persone e i suoi rapporti con loro in molti modi;
Possono mutare, più o meno permanentemente, la sua concezione del mondo o di aspetti o di parti di esso;
Possono liberarla, renderla più creativa, spontanea, espressiva;
La persona ricorda l’esperienza come un evento estremamente importante e desiderabile, cerca di ripeterla.
La persona è più incline a sentire che la vita, in generale, è degna di essere vissuta.
41
II.4 Il Judo come mezzo per raggiungere l’autorealizzazione personale
Mentre altre Vie si rivolgono a gruppi, promettono ascesi personali e salvezza eterna (pertanto promettono divisione tra gli esseri umani, e alimentano il loro ego), “la Via del Judo propone di autorealizzarsi per essere utili (dare per crescere e crescere per dare di più)“27. La via ha un inizio unico e consiste nell’autorealizzarsi, raggiunto questo risultato si presentano infinite direzioni tra le quali scegliere quella che valorizza la singola personalità. Essere “uno” dovrebbe costituire, per Kano, la base della teoria educativa sociale, permettendo poi all’individuo la scelta di realizzazione in modo autonomo; in questo modo vengono valorizzate le risorse umane e rispettata la singola personalità. Il Judo si avvale di due principi etici: “Sei-ryoku-zen’yo” (il miglior impiego dell’energia) e “Ji-ta-kyo-ei” (realizzare se stessi per progredire insieme). L’attuazione del primo principio necessita di un uomo integrato in tutte le sue istanze (intellettuale, affettiva, estetica, etica, motoria). La pratica del miglior impiego dell’energia è indispensabile per l’apertura al secondo principio, il Ji-ta-kyo-ei, ovvero l’utilizzo delle proprie capacità per il bene comune, non per prestigio o per denaro, ma come “dono” al mondo28.
27 Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998. p.52.
28 Ci si riferisce al concetto di dono delineato nel sottoparagrafo I.2.1
29 Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).p.36.
30 Il tema è stato approfondito in I.2.3 affrontando la formazione emotiva.
31 Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).p.43.
32 Ivi p.44.
Il concetto di autorealizzazione è definito da Maslow un processo dinamico, attivo, che dura tutta l’esistenza, è: “divenire e non essere”29. La teoria motivazionale dello Psicologo distingue tra: bisogni carenziali e accretivi30. La gratificazione del bisogno carenziale tende ad avere un momento culminante, inizia come motivazione al raggiungimento di una meta, segue una condizione di appagamento che, gradatamente, raggiunge un’acme nel momento della consumazione. Questo schema contrasta con le tendenze della motivazione accretiva. In questa, infatti, non vi è consumazione, non vi è situazione terminale, e persino non esiste finalità culminante; l’accrescimento è quindi uno sviluppo continuativo che non può essere soddisfatto: “Il comportamento è in se stesso il fine“31. Mentre i bisogni carenziali sono condivisi da tutti i membri della specie umana, l’autorealizzazione è: “idiosincrasica, in quanto ogni persona è diversa dalle altre. Le carenze, vale a dire le esigenze della specie, ordinariamente devono essere ben soddisfatte prima che la reale individualità possa pienamente svilupparsi“32. Il processo di autorealizzazione, paradossalmente, spinge l’uomo verso la trascendenza dell’io; gli individui autorealizzanti si perdono nell’oblio del percepire, del fare, del 42
creare. “Questa capacità di incentrarsi sul mondo anziché essere preoccupati di se stessi, e cioè egocentrici e orientati verso la gratificazione, diviene tanto più difficile quanto più la persona è dominata dai bisogni carenziali. Quanto più una persona è motivata all’accrescimento tanto più potrà incentrarsi sui problemi, e tanto più potrà lasciare dietro di sé la preoccupazione di sé, impegnandosi nel mondo“33. La proposta del Judo trova, quindi, valenza teorica negli studi di Maslow. La propria autorealizzazione, ottenuta grazie all’unificazione di corpo e mente nella pratica del miglior impiego dell’energia, è una tappa necessaria e imprescindibile per approdare al secondo principio etico, attraverso cui, avendo lasciato dietro il concetto di io come dato a sé stante, l’uomo si impegna a donarsi al mondo nel rispetto della propria unicità.
33 Ivi p.46.
34 Casadei , R. , 2011 ; Educazione attraverso il gesto: forgiarsi come percorso di conoscenza, azione e sperimentazione, In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.103-116). Pisa: Edizioni ETS , 2011. pp.109-110.
35 Ivi p.110.
36 Ibidem
II.5 Le potenzialità nascoste: Kata e Randori
Nella pratica del Judo il gesto, l’atto, sono prevalenti. Tale apprendimento e tale trasmissione privilegiano il mezzo non verbale, corporale, e la parola ne risulta accessoria. La ripetizione del gesto, nell’apprendimento, si orienta su due terreni: la possibilità di una sua applicazione pratica e la tensione verso la perfezione. Il gesto non ricerca una legittimazione verbale, poiché: “nell’azione si rivela il senso dell’esistenza“34. I rituali del kata e la pratica del randori sono possibilità di interiorizzazione e manifestazione di senso, “sono espressione di una completa fusione con l’arte praticata, rispetto a cui la parola è superflua“35 . La pratica impegna l’individuo in un processo di sensibilizzazione che modifica qualitativamente il vissuto quotidiano36.
Lo studio si qualifica come ricerca di unione armonica tra il movimento del corpo e una certa disposizione mentale, affina la percezione e sviluppa una sensibilità profonda attraverso cui imparare a guardare se stessi, gli altri e l’intera esistenza. La fusione tra pensiero e movimento nell’atto diventa uno strumento che alimenta una costante tensione verso l’attribuzione di senso alla propria esistenza; si tratta, quindi, di un approccio introspettivo allo studio del gesto. In questo senso possiamo dire con convinzione che si tratta di un modo di apprendere, approfondire e riorganizzare il vissuto che risulta diverso e nuovo rispetto ai nostri usuali paradigmi. L’idea è di 43
approfondire il proprio sé non limitandosi al proprio ego, ma ampliandolo in senso globale: “secondo una naturale corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo“37.
37 Ivi pp.111-112.
38 Ibidem
39 Ivi p.112.
40 Ibidem
Inoltre: “Attraverso il perfezionamento dell’arte praticata si avanza nel percorso di creatività ed espressione di se stessi[…. In questo senso niente è ripetizione sempre uguale, ma ricerca di senso, interpretazione e creazione. Per giungere a realizzare nella forma la propria differente unicità, la propria traccia creativa, espressiva“38.
Il kata nella dimensione marziale trova sempre meno spazio in quanto la corsa alla medaglia è diventato l’imperativo, esso, tuttavia, è uno strumento fondamentale nell’acquisizione della Via. Il kata evoca:
“possibilità di applicazioni e in questo senso lascia intendere ciò che sostiene il gesto tecnico: il principio. La dimensione dell’automaticità del gesto rappresenta la fase da cui partire per approfondire e arricchire il percorso:dalla capacità di realizzare perfettamente forme e movimenti si prosegue nella dimensione della dinamicità, della potenza…el respiro…ello spirito. I kata evocano quindi la loro stessa possibilità di sviluppo, non esclusivamente di riproduzione, proprio in quanto veicolo, attraverso la tecnica, di strategia[…. Il kata contiene più di quello che in superficie si coglie: ogni movimento è la << storia >>, il << repertorio >> di quel movimento nel senso che è rappresentativo di tutte le sue possibili varianti[…. L’approfondimento della pratica personale conduce alla possibilità di esprimere il kata attraverso la propria esperienza-sperimentazione, arrivando a decifrare attraverso il kata << le risposte alle domande che si è stati capaci di porsi >> (Tokitsu)“39.
Per questo quando un kata è padroneggiato “sfugge alla ripetizione: vi è un investimento personale di ricerca di senso, di armonia che contempli la dimensione individuale e globale insieme“40.
L’esercizio del randori (forma di combattimento libero e studio) è anch’esso necessario. Riguarda l’allenamento ( attraverso il corpo) dell’attenzione, della creatività e dell’adattabilità alla situazione. Il randori ci pone di fronte al nostro ego, è disponibilità a perdere se stessi per diventare un “sistema” con l’avversario:
“tori e uke: i due praticanti durante l’applicazione del waza divengono un’unità indistinta, terza rispetto alla iniziale dualità dei due avversari in potenziale conflitto tra loro, distinti e plurali, che ora si fanno unità. L’auspicata fusione neutralizza qualsiasi iniziale presupposto distintivo tra i due, generando una sorta di nuova realtà coesa e indistinta [ L’io e il non io] divenivano uno, grazie allo spontaneo e immediato attivarsi di un processo transazionale/fusionale tra le parti del sistema relazionale in atto[…. Si crea uno stato che si potrebbe definire uno stato di senza-mente, di abbandono dell’identificazione, laddove corpo e mente[… io e non io perdono i confini che isolano 44
e delimitano rigidamente le realtà parcellari dell’esperienza in atto per farsi totalità, unità“41.
41 Travaglini , R. , 2011 ; Formare e formarsi con l’aikidō, In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.117-136). Pisa: Edizioni ETS , 2011. p.121.
42 Tribuzio , G. ; JUDO. Educazione e Società. Milano : Luni Editrice , 2014.p.126.
43 Travaglini , R. , 2011 ; Formare e formarsi con l’aikidō, In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.117-136). Pisa: Edizioni ETS , 2011. p.122.
44 Casadei , R. , 2011 ; Educazione attraverso il gesto: forgiarsi come percorso di conoscenza, azione e sperimentazione, In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.103-116). Pisa: Edizioni ETS , 2011.p.114.
“Sperimentare questa sensazione di completa armonia tra mente e corpo vuol dire comprendere cosa vuol dire realizzare il proprio sé, riconoscendo le proprie potenzialità“42. Il Judo, praticato nel senza mente (mushin), non contempla vittoria o sconfitta si viene a creare un processo che per molti aspetti rinvia al concetto di “esperienza ottimale” riconducibile alla teoria di “flusso” formulata Mihaly Csiksezentmihaly. Lo Psicologo riscontra tale esperienza nelle situazioni in cui le pareti egoiche dell’individuo cadono; il crollo è causato dall’ impegno continuato in un’attività creativa. Nel corso di questa esperienza tende a prodursi una sorta di fusione tra il soggetto e l’oggetto. L’esperienza di flusso è autotelica , fine a se stessa, senza-scopo, autogratificante e autorealizzante43.
L’armonia praticata ogni giorno attraverso il Judo si riversa, necessariamente, in quello che poi è il vissuto quotidiano di ognuno; resta da chiedersi allora a quale armonia ci si riferisca: ” In prima istanza armonia intrasoggettiva (equilibrio e realizzazione delle proprie dimensioni), poi intersoggettiva (rispetto dell’altro alla luce della conoscenza e sperimentazione dell’interdipendenza del rapporto relazionale) fino a concretizzarsi in percorsi di formazione e autoformazione intitolati alla Pace “44. L’armonia è, allora, possibilità di dare senso alla propria vita; senso che parte dal riconoscimento di un significato nelle proprie azioni.
La pratica marziale ci invita a considerare, tra gli altri, tre aspetti importanti:
L’intelligenza del gesto;
L’inconsistenza di “chi vince-chi perde”;
La pratica quotidiana.
I contributi più significativi di un’educazione al corpo e al movimento, autenticamente impostati, vertono sulle seguenti possibilità:
Arricchimento dell’esperienza sul piano cognitivo, affettivo, sociale e culturale;
Mediazione di conoscenza ed esperienza di sé e dell’altro;
Espressione globale di istanze comunicative, secondo modalità di incontro e relazione con il proprio sé e con l’altro da sé, in un rapporto di reciprocità.
45
“Proprio perché la pratica all’interno delle arti marziali riserva un’attenzione specifica alla trasmissione di principi attraverso le tecniche, si qualifica come percorso che si impegna con incisività ed efficacia sulle dimensioni della ricerca, della consapevolezza, dell’approfondimento,dell’interiorizzazione”45. L’obiettivo di fondo è intraprendere un lavoro su di sé fatto di impegno, consapevolezza, che diventi parte integrante del proprio agire. ” Ciò che resta della pratica del Judo quando si esce dal dojo (luogo di pratica erroneamente chiamato palestra) e si torna nella vita sociale, con i suoi ritmi e i suoi riti quotidiani, non è altro che una mente allenata in modo sempre più sofisticato all’intuizione, all’azione efficace, al miglior impiego delle proprie potenzialità intellettive, cognitive e fisiche“46.
45 Ivi p.115.
46 Tribuzio , G. ; JUDO. Educazione e Società. Milano : Luni Editrice , 2014.p.133.
47 Tribuzio , G. ; JUDO. Educazione e Società. Milano : Luni Editrice , 2014.
48 Ivi p.135.
49 Ivi p.136.
II.6 Lo sviluppo della metis e della serendipity attraverso il Judo47
L’agire intuitivo viene inteso come complemento al ragionamento logico-deduttivo. Mentre al ragionamento logico viene dato spazio e sviluppo l’intuizione è sempre più lasciata nel dimenticatoio. L’intuitività, come tutte le qualità, può essere coltivata con la pratica continua. I greci identificarono tale qualità con il termine metis; questa ignorata perfino dai grecisti, è stata riscoperta da M. Detienne e J. P. Vernant. È definita come un modo di conoscere, una forma di intelligenza, implica un insieme complesso di atteggiamenti mentali, intellettuali che combinano: “l’intuito, la sagacia, la previsione, spigliatezza mentale, la finzione, la capacità di trarsi d’impaccio, la vigile attenzione, il senso dell’opportunità, l’abilità in vari campi“48 .Tale forma di intelligenza secondo i due studiosi francesi si esercita a vari livelli, ma l’accento in essa è posta sempre nell’azione, nel fare pratico. Il fatto che metis mostri la sua efficacia nell’agire fa presupporre che sia frutto dell’ esperienza: “Chi pratica Judo da diverso tempo è in grado di percepire l’azione di metis, perché quando effettua una tecnica con efficacia si rende conto che essa è strettamente correlata a una pratica intensa quotidiana, che permette di sentire, di percepire l’attimo giusto“49.
Lo studio del Judo propone continuamente situazioni mutevoli, avversari diversi, unici nel loro modo di combattere. In tale pratica si esercita continuamente lo sviluppo della propria metis, che diventa poi utile in tutte le attività umane. 46
Secondo E. Morin è necessaria la costruzione di un nuovo modello educativo che insegni ai giovani a imparare50. L’educazione, secondo Morin, deve cercare di favorire l’attitudine della mente nel porre e risolvere problemi; tale forma di intelligenza necessita di un ripensamento del pensato, di una continua pratica del dubbio e, come ribadisce il Filosofo, anche “il dubbio del suo stesso dubbio“51. “Tutto ciò, secondo Morin, chiama in causa anche un’altra qualità, molto presente nella pratica del Judo, che si richiama alla serendipità“52. Il termine serendipità si riferisce al ritrovamento o la scoperta di qualcosa di utile in modo fortuito, ovvero senza una sua ricerca diretta53. Nel Judo, praticato con costanza e con spirito di sacrificio, ci si rende conto che mentre metis si esercita e appare utile nella lotta in piedi (tachi waza), dove sono necessari tempismo, velocità di osservazione e decisione immediata, le potenzialità della serendipity, si mostrano utili nella lotta a terra (ne waza) dove è possibile, con più lentezza, giungere a intuire la via migliore per eseguire una tecnica di controllo o finalizzazione, anticipando le intenzioni dell’avversario, oppure immaginando la sua posizione, cogliendo le opportunità che si presentano nel confronto.
50 Ivi p.138.
51 Ibidem
52 Ibidem
53 http://www.treccani.it/enciclopedia/serendipity_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/
54 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p.47.
55 Ibidem
II.7 Il Maestro e la trasmissione:Shu-ha-ri
Shu-ha-ri è il principio della trasmissione di un’esperienza. Nella didattica del Judo l’animazione è un evento equivalente ad una conferenza o a una partecipazione momentanea, e mira alla primaria conoscenza del fenomeno; l’insegnamento è la comunicazione metodica di nozioni e metodiche; la trasmissione è la condivisione di un’esperienza. In questo senso il maestro è colui che ha la capacità di trasmissione54.
Shu: deriva dal verbo mamoru, che può essere tradotto con proteggere, conservare. In questa fase della trasmissione l’allievo è riempito dall’arte e dal fare del maestro, “egli vede con gli occhi del maestro“. Con Shu l’allievo è “trascinato dalla corrente del fiume”55.
Ha: deriva dal verbo yaburu e può essere tradotto con il termine distruzione, rottura. In questa fase l’allievo, metaforicamente, uccide il maestro. E’ la fase della “ricerca del proprio fiume”.
Ri: deriva da hanaru e indica la separazione, l’allontanamento, la trascendenza. E’ la fase in cui l’allievo diventa maestro. “Affrontando la realtà, sempre diversa, ha 47
esplorato il profondo. Si è spinto ancora più avanti, o ha interpretato meglio il presente. Con lui l’arte è avanzata […. Cercando il fiume è divenuto fiume”56.
56 Ivi pp.48-49.
57 Sebaste , B. ; Porte senza porta. Incontri con maestri contemporanei. Milano : Feltrinelli Editore , 1997.p. 7.
58 Ibidem
59 Ibidem
60 Ivi p.8.
Uno dei più importanti sociologi del secolo scorso, R. K. Merton, parlando della trasmissione orale della conoscenza si è soffermato sulla capacità di insegnamento di rinomati maestri, umanisti e scienziati. Tali luminari, secondo il Sociologo, hanno prodotto più con il loro contributo orale e pratico a diretto contatto con i propri allievi, che non con le loro pubblicazioni. Delle forme conosciute di trasmissione la forma più intensa per Merton è il modello maestro-apprendista; tale modello comporta un’interazione frequente e profonda tra maestro e novizio.
Maestro è: “colui che indica il cammino del ritorno a sé. Colui che aiuta a ritornare a casa. Tornare a casa significa diventare ciò che si è. L’educazione di un maestro consiste, quindi, nel restituire a qualcun altro, che possiamo chiamare discepolo da un’esistenza inautentica un’esistenza autentica“57. Il maestro non è colui che insegna un’arte o una tecnica: “Perché il maestro non insegna, educa; o meglio: educa insegnando. Egli trasmette un insegnamento che consente al discepolo di diventare a sua volta << maestro >>: maestro di se stesso. E’ quindi maestro quell’insegnante che eccede se stesso e il proprio ruolo, che ha saputo operare una risoluzione e un distacco dal proprio ego“58. Nel maestro ogni competenza ogni sapere è esempio del suo vivere, del suo stile di vita, “perché l’educazione di un maestro non abbraccia spazi o ambiti privilegiati, ma l’intero piano dell’esistenza“59. Un maestro per la sua trasmissione può utilizzare qualsiasi mezzo: dall’arte dell’ikebana alla pratica della spada, dal Judo alla scultura con materiali riciclati insegnata da Bruno Munari ai bambini. “Come si legge nell’I King, l’antico cinese Libro delle Trasformazioni (un libro che a sua volta è già una sorta di maestro), << per un maestro non esiste materiale sterile >>, poiché egli sa tutto adoperare e portare a fecondazione. Questo non significa un’indifferenza del maestro al << materiale >>, all’oggetto specifico che veicola la trasmissione (che sia la danza, meditazione, giardinaggio, scultura, musica, filosofia, lotta, preghiera ecc.), quanto piuttosto che la specifica materia dell’insegnamento viene superata e trascesa dall’educazione che in essa si trasmette “60. Il maestro è definito dalla sua capacità di trasmissione del “risveglio di sé”, indipendentemente dalla via che si è scelto di percorrere. Il filosofo G. Gargagni, definisce tale figura problematica così: ” Il maestro, quale che sia e quando che sia, se è un maestro, è colui che restituisce il discepolo a se stesso e alla sua condizione di autenticità attraverso trasformazione ed elaborazioni di 48
pensiero, perché si sa che – per quanto possa risultare incredibile – per diventare se stessi occorre inventarsi“61.
61 Ivi p.9.
62 Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998.p.101.
63 Tribuzio , G. ; JUDO. Educazione e Società. Milano : Luni Editrice , 2014.p.156.
64 Ibidem
II.8 I simboli della pratica
Il tatami è il mondo: è la materassina all’interno della quale si svolge l’azione del judoista. All’interno di tale spazio ognuno cerca di realizzare se stesso affrontando i rischi che questa scelta comporta. Il tatami è il luogo della battaglia dove si consuma l’esistenza per difendere un ideale. “Nell’educazione che proponiamo si diventa guerrieri al servizio del divenire, disposti a combattere ciò che si oppone a crescere e progredire tutti insieme“62. E’ il luogo del dialogo tra corpi, ma è anche “il luogo della solitudine, è il deserto che avvolge col suo silenzio, dove l’unico incontro possibile che forma e trasforma è quello con se stessi. Per questo motivo il tatami accoglie tutti e, a tutti, offre risposte all’altezza delle domande che si pongono, cercando di soddisfare tutti, lealmente“63.
Il judogi è la mente: l’abito che si indossa nella pratica del Judo rappresenta una mente pura, libera dal pregiudizio e da ogni identificazione. Il suo colore bianco ricorda i petali del fiore simbolo del Judo, ovvero il ciliegio. Rappresenta l’invito al dialogo, “è la pagina bianca sulla quale è possibile scrivere e lasciare traccia del proprio pensiero. Il judogi non è una divisa di appartenenza, perché il Judo non è di parte e non divide, tende a unire gli opposti nella loro complementarità, perché accoglie tutti e a tutti fa conoscere i suoi principi etici, che sono universali“64.
La cintura è la volontà: rappresenta l’unica distinzione consentita tra i praticanti, con il suo colore rappresenta il livello nella pratica di chi la indossa. Il suo tingersi di un colore sempre più intenso, dal bianco al nero, è simbolo dell’impegno che deve aumentare gradualmente con la cintura indossata; una cintura avanzata è simbolo di responsabilità, chi la indossa rappresenta la Via.
L’hara è la forza: L’addome, nella cultura orientale, è il centro dell’energia e di ogni azione. L’importanza della respirazione, e in particolare dell’espirazione, consente l’esplosione dell’energia nel gesto. “Il kiai, ha questa finalità, è un grido che unisce tutta l’energia in un solo istante, in cui si condensano spazio e tempo, per raggiungere il massimo dell’efficacia […. L’hara è il ponte che collega il mondo esterno con quello 49
interiore e, grazie all’azione mentale, riesce a gestire tutte quelle emozioni forti che partono dall’addome e nell’addome fanno ritorno“65.
65 Ivi p.157.
66 Ivi p.158.
67 Ibidem
68 Ivi p.159.
69 Ivi p.172.
L’attenzione è la coscienza: in ogni momento bisogna essere presenti a se stessi, consapevoli. La pratica costante rende questo processo naturale, inconscio, è per questo che il Judo può essere paragonato ad una pratica meditativa in movimento.
L’avversario è il proprio ego: “Per questa ragione, finché l’ego non viene ricondotto alla sua natura, cercherà sempre di frapporsi tra noi e l’avversario, rendendo il nostro agire goffo, inopportuno, inefficace“66.
L’ukemi, la caduta, è lo spirito dell’umiltà: Cadendo sul tatami si accetta la propria debolezza si abbandona l’arroganza. E’ la prima lezione del Judo, poiché: “Prima di imparare a stare di fronte all’altro, in piedi, si impara ad accettare la possibilità di annullarsi nella sconfitta, subendo la caduta“67.
Il Do, la Via, è la strada verso la conoscenza: non obbliga a seguire il modello tradizionale per giungere alla conoscenza, ma parte da esso per allontanarsene. “Seguire l’arte del Judo vuol dire apprendere una forma e dopo averla assimilata perfettamente abbandonarla, seguendo la << non-forma >>, unica in grado di creare una nuova forma“68. La Via nella concezione del Judo è la strada per trovare se stessi, per autorealizzarsi, dedicandosi poi in modo personale alla crescita della Società.
Il Dojo, il luogo della pratica: la strutturazione di tale luogo puntualizza che il rispetto del tutto presuppone il rispetto di se stessi e di quello che ci circonda.
Rei, il saluto, è la trasformazione di sé: “Inchinarsi, flettendo lievemente il tronco, davanti a un’altra persona è segno di rispetto e fiducia, per cui ogni volta che ci si inchina si << azzera >> il proprio Io e, mentre si risolleva il capo insieme al resto del corpo, si dimostra simbolicamente che si è diversi, si è aperti al nuovo che si ha di fronte, senza pregiudizi e senza inganni, ci si apre alla massima sincerità“69.
II.8.1 Il rito: la cerimonia dell’anno nuovo
Vorrei terminare il capitolo illustrando un rito molto significativo eseguito da Kano e i suoi primi discepoli nella celebrazione dell’anno nuovo. 50
Il termine rito è un lessico arcaico di origine indoeuropeo, il senso più antico di tale termine si trova nel Rgveda 70, sta a significare l’ordine immanente del cosmo ed è sinonimo di Dharma la legge fondamentale della natura. “Da qui scaturisce il senso di ritu: i compiti da fare in ogni stagione, in connessione con le leggi della natura“71. Secondo Durkheim il rito distingue il sacro dal profano, fa penetrare il sacro nella vita collettiva72. Pierre-Jean Labarrière situa il rito nel tempo vissuto dall’uomo: il suo posto è nei ritmi fondatori, nei passaggi più salienti della vita (nascita, matrimonio, morte) o nell’integrazione di un gruppo. Attraverso i riti l’uomo sacralizza gli eventi che segnano il suo destino73; il rito è allora realtà fondatrice da cui ha inizio l’esperienza e l’affermazione di senso, comunica una realtà nascosta che va oltre le cose visibili74.
70 Il Veda, <<Sapere>>,è il documento religioso più antico dell’India,il Rgveda è uno dei quattro trattati che si riferiscono alle funzioni sacerdotali.
71 Ries , J. ; Le costanti del sacro: Mito e Rito. Vol. 2. Milano : Editoriale Jaca Book , 2008.p.344.
72 Ivi p.345.
73 Ivi p.346.
74 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p.143.
75 Ivi p.144.
La cerimonia del nuovo anno è così descritta dal Fondatore:
“Il capo della Juku versa la bevanda nella coppa. Senza bere, passa bottiglia e coppa a sinistra. Il compagno versa ancora la bevanda e passa senza bere. Tutti ripetono il gesto finché la coppa ritorna al capo. Ognuno ha versato e nessuno ha bevuto. Il secondo giro vede porgere cerimoniosamente la coppa senza bere e senza versare. Al terzo, il capo beve un sorso, ma meno di quanto ha versato, e gli altri fanno lo stesso. Alla fine la coppa contiene ancora un poco di bevanda, che viene riposta“75.
Cosa indica tale cerimonia? Versare la bevanda indica il lavoro e il sacrificio nella pratica; passare la coppa senza bere significa donare agli altri senza pretendere un contraccambio, il secondo giro pone enfasi al gesto; nel terzo giro si beve, ma prendendo meno di quanto si ha versato. Tale rito nella sua semplicità è senza dubbio l’emblema del vero Judo. 51
Capitolo III
L’importanza del Judo nello sviluppo motorio del bambino
III.1 Le capacità motorie
Le capacità motorie sono i presupposti fondamentali per l’apprendimento e l’attuazione delle azioni motorie. In forma semplificativa le capacità motorie sono suddivise in: organico-muscolari (resistenza, forza, rapidità e mobilità articolare) e coordinative ( a sua volta distinte in generali e speciali). Le capacità organico-muscolari riguardano principalmente i meccanismi di produzione e utilizzazione dei substrati energetici. Le capacità coordinative riguardano invece i meccanismi di controllo e regolazione del movimento. K. Meinel, definisce la coordinazione come: “accordo di tutte le forze interne ed esterne, tenendo conto di tutti i gradi di libertà dell’apparato motorio, rispetto alla soluzione, adeguata allo scopo, del problema motorio posto“1.
1 Meinel , K. ; Schnabel , G. ; Bewegunslehre , Berlino : Volk und Wissen , 1977. (Trad. It. Teoria del movimento. Abbozzo di una teoria della motricità sportiva sotto l’aspetto pedagogico. Roma : Società Stampa Sportiva , 2000).p.55.
2 Weineck , J. ; Optimates Training , Balingen Germany : Spitta Verlag GmbH & Co. , 2007. (Trad. It.L’allenamento Ottimale . Torgiano PG : Calzetti& Mariucci Editori , 2009). p.156.
La suddivisone tra le varie capacità va visto tuttavia come modello, poiché, nella realtà, le capacità motorie si utilizzano e sviluppano in modo olistico e non indipendente. Ogni attività motorio/sportiva ha le sue peculiarità, conseguentemente pone l’accento sullo sviluppo delle capacità specifiche della propria disciplina, ma questo incremento presuppone che le altre capacità(coordinative e organico-muscolari) abbiano raggiunto un certo grado di sviluppo. L’obiettivo educativo della formazione, quindi, impone uno sviluppo multilaterale delle capacità motorie, poiché la carenza in determinate capacità ostacola lo sviluppo delle altre.
III.1. Le capacità organico-muscolari
Si suddividono in: resistenza, forza, rapidità e mobilità articolare.
La resistenza:
Con questo termine si intende la capacità psicofisica di opporsi all’affaticamento. “La resistenza psichica comprende la capacità dell’atleta di riuscire a resistere il più a lungo possibile a uno stimolo che lo indurrebbe a interrompere uno sforzo; la resistenza fisica si riferisce alla capacità dell’intero organismo, o di suoi singoli sistemi parziali, di resistere alla fatica“2. Si possono distinguere diverse tipologie di manifestazione di tale capacità. Riferendosi all’aspetto della percentuale di muscolatura impegnata, si distingue una resistenza generale e una locale. La prima si riferisce alle attività che impegnano da un settimo a un sesto dell’intera muscolatura scheletrica; 52
conseguentemente la resistenza locale si riferisce alle attività che reclutano meno di un sesto della muscolatura. Considerando la specificità di ogni singolo sport possiamo distinguere tra resistenza generale e specifica. Per resistenza generale, in questo caso, si intende una forma di resistenza indipendente dallo sport specifico; per resistenza specifica, all’opposto, intendiamo la manifestazione della resistenza “specifica” del singolo sport. Dal punto di vista della trasformazione biochimica dei substrati energetici distinguiamo tra resistenza: aerobica e anaerobica. Nella resistenza aerobica la presenza massiva dell’ossigeno permette una combustione dei substrati energetici per via ossidativa. Negli esercizi che hanno un’intensità del carico elevato, a causa di una maggiore frequenza del movimento o di un aumento delle componenti di forza nel gesto, l’ossigeno diventa insufficiente per la combustione, si necessita quindi di una trasformazione per via non ossidativa. Nella realtà non esiste una trasformazione pura dell’energia in modo aerobico o anaerobico; è sensato allora suddividere la resistenza generale in resistenza di breve, media e lunga durata. Nella resistenza di breve durata sono classificati quei carichi di resistenza massimale che vanno dai 45’’ ai 2’, coperti prevalentemente dalla trasformazione per via anaerobica. La resistenza di media durata corrisponde a carichi che vanno dai 2’ agli 8’, in questa troviamo un aumento della copertura aerobica. La resistenza di lunga durata si riferisce a quei carichi che superano gli 8’ e sono mantenuti quasi esclusivamente dalla produzione aerobica.
Il Judo è caratterizzato da un carico specifico di gara di media e breve durata. La progressione dell’allenamento della resistenza deve progredire, in accordo con i principi dell’allenamento, dal generale allo speciale3. La capacità di prestazione di resistenza aerobica, generale e specifica, negli sport di combattimento si esprime soprattutto in una maggiore prestazione nella soglia anaerobica (4 mmol/l – capacità aerobica); il miglioramento della prestazione della soglia aerobica (2 mmol/l – soglia di rigenerazione) è necessaria per lo sviluppo della capacità di recupero4. Le ricerche di Bredow, Müller-Deck, Hempel (1978), riguardanti il carico di allenamento e di gara, mostrano che il carico durante la competizione, soprattutto in quei combattimenti che durano per tutto il tempo di gara o nei quali si incontrano avversari ostici, supera notevolmente il carico di allenamento5. Per questa ragione la simulazione del carico di gara attraverso metodiche di allenamento speciale non può essere mai completamente esaustiva. Nelle fasi della preparazione immediata alla gara, quindi, risulta necessario
3 Ivi pp.20-32.
4 Lehman, R. ; H. , D. , Heinsch ; Allenamento in altitudine e sport di combattimento , In , S.D.S Scuola dello Sport, Anno XX n.52 , 2001. p.45
5 H. , D. ,Heinsch ; I mezzi specifici d’allenamento nel judo , In , S.D.S Scuola dello Sport , Anno XXVII n.76 , 2008. pp. 44-48. 53
stimolare non solo le capacità tecnico-tattiche, ma anche quelle organico-muscolari (Heinisch, Lehmann, 2004)6. Nei periodi di preparazione speciale è opportuno, allora, realizzare dai due ai tre giorni di carico elevato e, ogni volta, da cinque a otto incontri amichevoli per garantire che gli atleti sviluppino una capacità di resistenza da gara7. Nei periodi pre-gara, in cui quindi la competizione è imminente, si sono ottenuti risultati positivi con forme di carico intensive e di breve durata specifiche; gli esercizi più utili in questa fase sono: una forma ad alta intensità di uchikomi (entrar dentro, ovvero la ripetizione sistematica della tecnica su un avversario che consente l’entrata), sia statico che dinamico, e la pratica del randori (esercizio libero), che con le sue diverse forme di carico rimane una pratica insostituibile per la formazione dei presupposti speciali organico-muscolari (resistenza di base, resistenza alla forza o alla forza rapida)8.
6 Ibidem
7 Ibidem
8 Ibidem
9 Weineck , J. ; Optimates Training , Balingen Germany : Spitta Verlag GmbH & Co. , 2007. (Trad. It.L’allenamento Ottimale . Torgiano PG : Calzetti& Mariucci Editori , 2009). p.262.
10 Ivi p.263.
11 Ivi p.264.
La forza:
È definita come la capacità del soggetto di vincere una resistenza interna o esterna. La prima classificazione della forza riguarda la sua generalità e specificità. Per forza generale si intende la forza di tutti i gruppi muscolari indipendentemente dallo sport praticato; per forza speciale si intende l’espressione della forza nel gesto specifico del proprio sport. ” Nei diversi sport, la forza non si presenta ma in forma << pura >>, astratta, ma sempre in una combinazione, o in forme miste più o meno sfumate dei fattori condizionali (cioè organico-muscolari e coordinativi) di prestazione fisica”9. Le principali espressioni della forza sono: la forza massimale, la forza rapida, la resistenza alla forza. La forza massimale “rappresenta la massima forza possibile che il sistema neuromuscolare ha la possibilità di esprimere in una massima contrazione volontaria“10, dipende da componenti specifiche: la sezione trasversale del muscolo, la coordinazione intermuscolare e la coordinazione intramuscolare. La forza rapida “comprende le capacità del sistema neuro-muscolare di muovere il corpo e le sue parti (ad esempio arti superiori, arti inferiori) oppure oggetti (ad esempio palloni, pesi, giavellotti, dischi, ecc.) alla massima velocità“11. La resistenza alla forza ” può essere definita come 54
capacità di opporsi alla fatica in carichi maggiori del 30% del massimo individuale di forza isometrica“12.
12 Ivi p.268.
13 Melchiorri , G. ; Di Mario , A. , Manno , R. ; Padua , E . ; Postura ed esercizi con sovraccarico , In , S.D.S Scuola dello Sport , Anno XXVI n. 75 , 2007. pp.51-56.
14 Weineck , J. ; Optimates Training , Balingen Germany : Spitta Verlag GmbH & Co. , 2007. (Trad. It.L’allenamento Ottimale . Torgiano PG : Calzetti& Mariucci Editori , 2009).p.436.
La capacità della forza, in tutte le sue forme, è una caratteristica fondamentale di tutti gli sport lottatori.
La programmazione delle sedute di forza si distingue in:
1. Generale: in cui vengono utilizzati quegli esercizi che hanno carattere generale. Ai fini del Judo risultano utili esercizi: di pre-acrobatica, pliometrici, salti sul box, squat, strappo e slancio;
2. Speciale: in cui vengono utilizzati esercizi che ripropongono le parti significative della tecnica. Nella programmazione del Judo vengono utilizzati esercizi di: kumi-kata (lotta per il raggiungimento delle prese), nage-komi da fermo (proiettare dentro, è un esercizio di affinamento della proiezione), nage-komi in movimento( senza prese iniziali o con prese iniziali);
3. Di gara: gli esercizi ripropongono parti specifiche della competizione. Esempi sono lo studio del kumikata abbinato alla proiezione, i contrattacchi ecc.
Le ricerche mostrano che, nello sviluppo della forza generale e speciale del Judo, è opportuno prediligere quegli esercizi che consentono una postura ortostatica; a tale proposito nasce un’apposita macchina (MAS) che ha la caratteristica di avvicinarsi alle richieste biomeccaniche di tirata e spinta del Judo13. L’intensità del carico, in tutte le sue tipologie (generale, speciale e di gara), deve essere medio/elevata; l’accento deve essere posto sulla velocità di esecuzione degli esercizi, che deve risultare massimale. Il volume del carico di forza si aggira attorno ai quindici/trenta minuti a seduta; il recupero tra le serie, nello sviluppo della forza massima e rapida, è completo.
La rapidità:
È una capacità molto complessa, è condizionata dalle altre capacità organiche-muscolari e dalle capacità coordinative. “La rapidità è quella capacità che, sulla base della mobilità dei processi del sistema neuro-muscolare e delle possibilità di sviluppo della forza della muscolatura, permette di eseguire azioni motorie in un periodo di tempo minimo nelle condizioni contingenti esistenti“14.
Le forme semplici di rapidità si identificano in: capacità di reazione, ovvero la capacità di reagire nel più breve tempo possibile ad un dato stimolo; rapidità 55
d’azione semplice, intesa come la capacità di eseguire movimenti aciclici con la massima velocità; rapidità di frequenza, consiste nella capacità di eseguire movimenti ciclici con la massima velocità.
Fanno parte delle forme complesse di rapidità15: la rapidità di espressione della forza, ovvero la capacità di trasmettere in un tempo minimo il massimo impulso di forza possibile ad una resistenza(è anche definita forza rapida); la resistenza alla forza rapida, intesa come la capacità di opporsi alla diminuzione della velocità in movimenti ciclici e in massima velocità di contrazione.
15 Ivi p.438.
16 Ivi p.436.
La rapidità negli sport situazionali16 è composta da varie capacità psicofisiche riassumibili in:
1. Rapidità percettiva, ovvero la capacità di percepire nel più breve tempo possibili le informazioni afferenti.
2. Rapidità di anticipazione, consistente nella capacità di previsione dello sviluppo delle singole situazioni.
3. Rapidità decisionale, ovvero la capacità di decidere in tempi brevissimi la soluzione più opportuna tra le soluzioni possibili.
4. Rapidità di reazione, intesa come la capacità di reagire rapidamente a sviluppi imprevisti dell’azione.
5. Velocità di movimento ciclica e aciclica, ovvero la capacità di eseguire movimenti ciclici e aciclici a velocità elevata.
Solo attraverso una formazione ottimale di tutte le capacità parziali della rapidità si può parlare di uno sviluppo completo della rapidità come qualità complessa.
La rapidità è una qualità importantissima del judoista, poiché l’esecuzione tecnica senza tale parametro risulterebbe inefficace. Nella programmazione la progressione degli esercizi di rapidità, così come nella forza, si distingue in:
1. Generale: vengono eseguiti esercizi di coordinazione, scatti, esercizi di reazione, drop jump, ecc.;
2. Speciali: vengono eseguiti esercizi in cui sono presenti fasi dell’azione tecnica e sono da eseguire alla massima intensità;
3. Di gara: vengono eseguite le transizioni tecniche, comprende esercizi sul kumi-kata e sugli spostamenti e sono da eseguire alla massima velocità possibile.
Il carico di lavoro deve essere eseguito alla massima velocità possibile con esercizi della durata compresa tra i due e i quindici secondi e con recupero completo. Il volume totale degli esercizi di rapidità nella seduta deve essere compreso tra i dieci e i venti minuti. 56
La mobilità articolare: si pone come qualità motoria intermedia tra le capacità organico-muscolari e coordinative. E’ la capacità che permette l’esecuzione di movimenti di grande ampiezza. E’ dovuta alla flessibilità che riguarda i muscoli, i tendini, i legamenti e l’apparato capsulare e rappresenta un presupposto necessario per l’esecuzione, qualitativa e quantitativa, del movimento e del gesto atletico. I vantaggi di un suo sviluppo ottimale sono sintetizzabili in:
1. miglioramento qualitativo e quantitativo del movimento, migliora infatti la fluidità e l’armonia del gesto;
2. miglioramento del processo di apprendimento motorio, migliorando la conoscenza e la consapevolezza del proprio corpo;
3. transfert positivo alle altre capacità organico-muscolari. Sia la forza che la rapidità acquisiscono vantaggi. La traiettoria di accelerazione del movimento migliora poiché si riduce la resistenza dei muscoli antagonisti inoltre una muscolatura con minore capacità di allungamento possiede una minore espressione di forza17;
4. prevenzione dei traumi e delle lesioni. Lo sviluppo ottimale della mobilità articolare produce una maggiore elasticità inoltre migliora la capacità di allungamento delle strutture contrattili, tendinee e legamentose;
5. prevenzione posturale e degli squilibri muscolari.
17 Moretti , B. ; Vergine , V. ; Fischetti , F. ; Prayer , C. , Mauro , M . ; Quarto , A . ; Moretti , L. ; Notarnicola , A . ; Valutazione motoria e allenamento del giovane calciatore: analizzatori e abilità . Bari : WIP Edizioni , 2010. p.99.
18 Meinel , K. ; Schnabel , G. ; Bewegunslehre , Berlino : Volk und Wissen , 1977. (Trad. It. Teoria del movimento. Abbozzo di una teoria della motricità sportiva sotto l’aspetto pedagogico. Roma : Società Stampa Sportiva , 2000).p.55.
Lo sviluppo della mobilità articolare nel judoista risulta molto importante sia per l’efficacia che deriva da esecuzioni tecniche ampie, sia per l’effetto preventivo che ha nei confronti degli infortuni e degli squilibri posturali.
III.1.2 Le capacità coordinative
K. Meinel definisce la coordinazione come: “accordo di tutte le forze interne ed esterne, tenendo conto di tutti i gradi di libertà dell’apparato motorio, rispetto alla soluzione, adeguata allo scopo, del problema motorio posto“18. Le capacità coordinative sono determinate prevalentemente dai processi che controllano e regolano il movimento. Ai fini della discussione è necessario distinguere tra capacità e abilità. In psicologia si definiscono abilità “quelle componenti automatizzate del comportamento cosciente individuale, che sono state ampiamente 57
stabilizzate con l’esercizio ripetuto più volte“19. Le capacità coordinative sono invece i presupposti essenziali per lo svolgimento delle abilità. Capacità coordinative e abilità motorie si differenziano quindi per il loro grado di generalizzazione20. Le capacità coordinative vengono suddivise in capacità generali e speciali.
19 Ivi p.203.
20 Ivi p.205.
Le capacità coordinative generali sono:
La capacità di controllo motorio: intesa come la capacità di controllare la struttura e i parametri del movimento in modo tale che l’azione corrisponda, il più possibile, al programma stabilito.
La capacità di adattamento e trasformazione: rappresenta la capacità di adattare il movimento alla specificità della situazione, modificandolo, in relazione alle differenti condizioni.
La capacità di apprendimento motorio: esprime l’attitudine ad imparare o stabilizzare le abilità motorie.
All’interno del complesso coordinativo si riconoscono ulteriori aspetti, essi sono definiti capacità coordinative speciali:
La capacità di equilibrio: intende quella capacità che permette di tenere, mantenere o recuperare l’equilibrio di tutto il corpo, durante o dopo, ampi spostamenti del corpo stesso.
La capacità di orientamento: è definita come la capacità di determinare e cambiare, nello spazio e nel tempo, la posizione e i movimenti del corpo rispetto a un campo d’azione definito.
La capacità di differenziazione cinestesica: é intesa come capacità di eseguire con precisione le singole parti di un movimento complesso. Si manifesta nella precisione e nell’economia del gesto. Si basa sulla percezione dei parametri di forza, tempo e spazio nell’azione.
La capacità di ritmo: è la capacità di riprodurre un ritmo esterno o di mantenere nel tempo un ritmo proprio.
La capacità di reazione: è intesa come la capacità di eseguire una risposta adeguata ad uno stimolo in un tempo minimo.
La capacità di adattamento o trasformazione: è definita come la capacità di adattare il programma motorio alle situazioni percepite o predette, o di proseguirla in modo completamente diverso.
La capacità di combinazione o coordinazione segmentaria: è la capacità di coordinare in modo adeguato i movimenti dei segmenti del corpo in un movimento globale che è diretto a uno scopo.
Le capacità coordinative sono il presupposto fondamentale per lo sviluppo tecnico di qualsiasi attività motoria. Un Judo fluido ed efficace non può prescindere da un 58
adeguato sviluppo di queste capacità. Il Judo e le pratiche lottatorie, sotto il punto di vista delle capacità coordinative, risultano essere molto complesse. La pratica di queste attività, quindi, garantisce ampio sviluppo ai processi coordinativi.
Nel Judo tra le capacità coordinative speciali particolarmente importanti ricordiamo:
1. La capacità di equilibrio:
Le fasi lottatorie sono caratterizzate da una continua ricerca del proprio equilibrio dinamico;
2. La capacità di combinazione o coordinazione segmentaria:
Ogni tecnica di Judo ha una struttura complessa che necessita del convogliamento nell’azione di tutto il corpo. La trasmissione dell’energia della tecnica sull’avversario presuppone una coordinazione perfetta del centro addominale (hara) con gli arti superiori e inferiori;
3. La capacità di adattamento:
Le variabili in gioco durante un combattimento di Judo sono molte; il repertorio tecnico è ampio e le possibili combinazioni infinite. La capacità di adattare il proprio gesto alla situazione, e di modificarla in tempi brevi, sono capacità fondamentali in un Judo evoluto.
4. La capacità di ritmo:
Il combattimento ha un proprio ritmo, la capacità di sentirlo e di comprendere il “tempo” di entrata della tecnica è garanzia di efficacia sia nell’attacco sia nella difesa.
Alla base dello sviluppo delle abilità motorie e dello sviluppo delle capacità coordinative vi è un’attività motoria multilaterale che comprende l’intero complesso delle varie capacità21. L’aumento delle esigenze di coordinazione nelle abilità motorie già possedute, inoltre, va realizzato utilizzando variazioni, ponendo complicazioni, aumentando le richieste organico-muscolari necessarie. Nel processo formativo occorre valutare la differenza tra capacità coordinative generali e speciali, così come del rapporto esistente tra le capacità coordinative e le abilità specifiche22. Se si vogliono sviluppare le capacità generali, come componente essenziale del processo formativo generale, in modo da creare una base ampia su cui costruire le abilità e le capacità specifiche di un dato sport, si deve utilizzare un’ampia scelta di forme di movimento23. Nella formazione sportiva di base si deve seguire il principio che dal generale va verso lo speciale; ciò vuole dire che, nei primi anni, la formazione mira a uno sviluppo completo delle capacità motorie, rispettando il processo di maturazione dell’allievo. È con l’aumentare degli anni di allenamento che le forme di movimento specifiche assumono una posizione sempre più dominante. Un notevole influsso nello sviluppo delle capacità coordinative può essere esercitato da un lavoro sulla ricezione delle
21 Meinel , K. ; Schnabel , G. ; Bewegunslehre , Berlino : Volk und Wissen , 1977. (Trad. It. Teoria del movimento. Abbozzo di una teoria della motricità sportiva sotto l’aspetto pedagogico. Roma : Società Stampa Sportiva , 2000). p.225.
22 Ivi p.226.
23 Ibidem 59
informazioni. “Così, ad esempio, si può stimolare lo sviluppo della fantasia motoria ponendo stimoli adeguati alla costruzione consapevole e riflettuta di problemi motori, cioè stimolando l’attività creativa. La capacità di adattare e di trasformare il movimento, essenzialmente dipende dalla corretta e rapida ricezione delle informazioni, dal suo addestramento, e contemporaneamente dalle esperienze, dalle cognizioni che si sono acquisite, che sono diventate coscienti e che sono state memorizzate, risolvendo problemi motori dello stesso tipo. Quindi anche la trasmissione di conoscenze diventa un elemento costitutivo della formazione delle capacità coordinative“24.
24 Ivi p.227.
25Sacripanti , A. ; Biomeccanica del judo. Roma : Edizioni Mediterranee , 1989. p.94.
26 Ivi p.57.
III.2 L’apprendimento della tecnica specifica del Judo
L’azione tecnica può essere definita come: “un insieme di movimenti che, utilizzando opportunamente gli effetti combinati delle forze esterne e interne agenti sull’atleta, permette il raggiungimento della prestazione sportiva. La struttura dell’insieme di movimenti che determina una tecnica è prodotta dai suoi elementi, legati reciprocamente, in modo tale da contribuire al perfezionamento dell’azione, generando così il sistema e le sue proprietà“25.
Tutte le tecniche di Judo rientrano nelle categorie : Nage-waza, Katame-waza e Ate-waza. Le tecniche Nage-waza sono tecniche di proiezione, a sua volta si distinguono in Tachi-waza (tecniche in piedi) e Sutemi-waza (tecniche di sacrificio). Le Katame-waza sono tecniche di controllo e si distinguono in: Osae-waza ( tecniche di immobiliz- zazione a terra), Shime-waza (tecniche di strangolamento) e Kantsetsu-waza ( tecniche di leve articolari). Le Ate-waza sono tecniche di percussione e sono studiate nel Judo solo a fini conoscitivi. Nell’azione di proiezione, sia dinamica che statica, furono individuate, con l’evolversi degli studi biomeccanici effettuati da Kano e i suoi assistenti, tre fasi distinte: Tsukuri, Kuzushi e Kake26. Con il termine Tsukuri si intende il complesso dell’infinita gamma di movimenti che preparano l’effettuazione di una tecnica di proiezione. Con il termine Kuzushi si intende, in termini biomeccanici, la traslazione della proiezione baricentrale del corpo dell’avversario al di fuori della superficie trapezoidale ottimale della sua superficie di mantenimento, ovvero lo squilibrio direzionale dell’avversario. Con il termine Kake si intende l’azione che consente la caduta dell’avversario. Dalle stesse definizioni si può ben intendere che non esiste una vera e propria suddivisione temporale fra queste fasi, la loro definizione deve essere considerata un artificio esplicativo di un movimento che rimane comunque unico.
“Nel Judo, che può essere identificato con gli altri sport da combattimento come una disciplina di situazione, cioè: sport caratterizzati dalla grande variabilità delle situazioni e delle conseguenti reazioni, la tecnica deve risolvere compiti motori molto 60
complessi, in relazione alle mutevoli condizioni di competizione e l’atleta dovrà, quindi, possedere una grande varietà di azioni tecniche legate ad una vasta capacità di adattamento e fantasia“27. Secondo Ajrijanc28 gli scopi fondamentali dell’allenamento tecnico possono essere identificati in :
27 Ivi p.94.
28 Cit. In , Ivi p.96.
29 Moretti , C. ; Di Corrado , D. ; Perciavalle , V. ; Metodologie didattiche delle attività motorie . Catania : Cavallotto Edizioni , 2010. p.9.
30 Ibidem
31 Weineck , J. ; Optimates Training , Balingen Germany : Spitta Verlag GmbH & Co. , 2007. (Trad. It.L’allenamento Ottimale . Torgiano PG : Calzetti& Mariucci Editori , 2009). p.604.
32 Ivi pp.608-609.
acquisizione delle tecniche fondamentali;
acquisizione durevole del gesto tecnico;
perfezionamento della tecnica in funzione delle particolarità dell’atleta;
stabilizzazione della sicurezza tecnica, in funzione di situazioni difficili (affaticamento, tensioni emotive, ecc.).
Per apprendimento motorio si intende, in psicologia, una modificazione durevole del comportamento risultante dall’esperienza29. Secondo Ausebel il fattore più importante per l’apprendimento sono le conoscenze già possedute. Egli distinse tra apprendimento meccanico (inteso come l’acquisizione mnemonica di una nuova conoscenza, fine a se stesso) e apprendimento significativo (ovvero un tipo di apprendimento che, ricollegandosi ai concetti da noi già posseduti, diventa parte integrante del soggetto30). L’apprendimento e il perfezionamento delle abilità tecniche sono determinati, anzitutto, dal livello di partenza dell’allievo e dalle sue precedenti esperienze motorie. “Così, si è visto che atleti più preparati dal punto di vista coordinativo apprendono l’esecuzione delle tecniche sportive più rapidamente di coloro che dispongono di un patrimonio meno ampio di movimenti, dunque di una base coordinativa limitata“31. Lo sviluppo delle abilità motorie, date queste premesse, deve dirigersi da tappe di apprendimento generali a tappe speciali, soprattutto nelle fasce d’età più giovani.
Le fasi dell’apprendimento32 si suddivido in:
fase della comunicazione e della comprensione: in questa fase l’atleta prende conoscenza del movimento da apprendere. E’ aiutato in tale compito dalle sue esperienze motorie, dal livello di capacità di partenza e dalle sue capacità di osservazione e comprensione;
fase della coordinazione grezza: in questa fase, oltre che dalle indicazioni verbali del tecnico, l’informazione è rappresentata dalle prime esperienze di esecuzione pratica. Il quadro di esecuzione presenta un impiego eccessivo della forza, esitazioni, si presenta goffa, con un ritmo sbagliato e una scarsa precisione del movimento;
61
fase della coordinazione fine: al termine di questa fase l’atleta è in grado di controllare la coordinazione fine del movimento. Il quadro di esecuzione è accompagnato da un adeguato impiego della forza, dell’ampiezza e del ritmo, come anche una notevole fluidità del movimento;
fase del consolidamento, del perfezionamento e della disponibilità variabile: in questa fase si perviene a una coordinazione estremamente precisa del movimento, utilizzabile anche in condizioni inusuali e difficili. L’automatizzazione del gesto consente all’atleta di dedicare l’attenzione alle componenti tattiche inoltre ha la possibilità di rispondere in modo più adeguato e veloce alle situazioni. Il gesto risulta fluido e armonico nelle sue componenti.
Tenendo conto delle fasi generali dell’apprendimento delle abilità si può stilare un programma mirato all’acquisizione dei gesti tecnici judoistici; le fasi fondamentali di questa programmazione possono essere definite come: differenziazione, integrazione e individualizzazione di una tecnica standard33. Per tecnica standard si intende l’idealizzazione che permette di definire le caratteristiche generali di una tecnica.
33 Sacripanti , A. ; Biomeccanica del judo. Roma : Edizioni Mediterranee , 1989. p.96.
34 Ivi p.97.
35 Ivi p.97.
36 Ivi p.98.
La differenziazione: è data dalla frammentazione, ad uso didattico, del movimento globale in numerose parti differenti, ad esempio scomponendola in tsukuri-kuzushi-kake. Permette un miglior apprendimento dei particolari e la comprensione degli elementi primari e secondari della tecnica.
L’integrazione: è data dal concorso di diversi movimenti semplici alla costruzione di un unico atto motorio fluido. ” Se nella prima fase del movimento di tsukuri-kuzushi-kakè le azioni singole sono eseguite correttamente, nelle fasi successive dell’esecuzione esse saranno più efficaci e corrette. Pertanto nell’integrazione tutti i movimenti semplici dell’atleta confluiscono in un’azione fluida e continua, rivolta alla soluzione finale dell’obiettivo posto dal compito motorio“34.
“A qualsiasi livello, in un corretto programma di allenamento le fasi di integrazione (unificazione) e di differenziazione (scomposizione) utilizzate, secondo necessità, permetteranno uno svolgimento del compito motorio (la tecnica) più compatto ed al contempo più corretto e perfezionato nei dettagli“35.
L’individualizzazione: è l’adattamento della tecnica standard alle peculiarità specifiche del singolo.
Le modalità di applicazione della tecnica del Judo, secondo la didattica giapponese, sono36: 62
Tandoku-Renshyu (allenamento in solitario): Il combattente effettua e ripete i suoi attacchi nel vuoto immaginando la posizione del proprio avversario. Tale esercizio permette all’atleta di acquisire le componenti di una tecnica, di migliorare in velocità, ottenere importanti automatismi e imparare il controllo dell’equilibrio, indispensabile al successo della tecnica;
Sotai-Renshyu (allenamento libero senza resistenza): E’ la fase successiva, in cui ambedue gli atleti si aiutano alla miglior comprensione dei punti importanti dell’azione tecnica; si eseguono attacchi morbidi, la caduta (da parte di Uke) è senza resistenza se l’attacco è da considerarsi corretto;
Uchi-Komi (entrar dentro): È la prima fase dell’allenamento dinamico; acquisito il movimento Torì (colui che effettua la tecnica) lo effettua in successione su di un Ukè (colui che subisce la tecnica) statico. Da tale fase inizia per gradi l’apprendimento e l’abitudine al raggruppamento biodinamico (coppia di atleti);
Yaku-Soku-Geyko ( allenamento all’opportunità): Tori e Uke si spostano a piacimento sul tappeto, le entrate risultano sempre morbide. Tori acquisisce il concetto di opportunità, migliorando la tecnica e lo stile; Uke acquisisce la sensazione di attacco trasmessa;
Kakari-Geyko (allenamento con resistenza): In tale fase Tori attacca a fondo mentre Uke si difende nel miglior modo possibile, come si può osservare lo sviluppo logico di tali fasi è quello di portare l’atleta alla reale condizione di gara. L’azione di difesa di Uke è fondata sugli spostamenti e le schivate e non su un’opposizione rigida;
Randori (combattimento libero): E’ l’ultimo studio prima del combattimento reale, qui non vi sono ruoli specifici; i due atleti devono combattere nella completa libertà, attaccando spesso e con incisività. Lo spirito del Randori è diverso da quello della competizione, deve essere considerato come una fase di studio, “nello spirito della << prosperità reciproca >>“37.
37 Ibidem
38 Ibidem
39 Approfondito in III.1.2
Ad ogni singola fase, per un ulteriore sviluppo delle capacità coordinative del soggetto, può accostarsi il cosiddetto metodo di Harre38. Questa metodologia, in linea con le teorie di potenziamento delle capacità coordinative39, offrirà strumenti utili al soggetto per il potenziamento tecnico. Il metodo consiste nell’esecuzione tecnica:
in condizioni inconsuete (partenza su un piede, su traiettorie differenti, ecc.);
in modo speculare (tecniche eseguite a sinistra per chi è abituato a eseguirle a destra e viceversa);
variando velocità e ritmo di esecuzione;
63
complicando l’esecuzione tecnica aggiungendo movimenti opportuni;
combinando più tecniche;
combinando con contro-tecniche;
combattendo con avversari di taglia e peso differenti;
combattendo con handicap;
Nel Ne-waza (lotta a terra) la didattica è molto simile a quella del Nage-waza (lotta in piedi). Dopo aver assimilato la tecnica base (Osae-waza, Shime-waza, Kantsetsu-waza) si passa a considerare l’esecuzione tecnica dinamica. Bisogna sottolineare tre problemi specifici presenti nell’apprendimento di tale distanza del combattimento40:
40 Sacripanti , A. ; Biomeccanica del judo. Roma : Edizioni Mediterranee , 1989.p.100.
41 Ibidem
42 Cit. In : Sacripanti , A. ; Monti , A. ; Judo come esercizio percettivo motorio. Apprendimento di base (6-10 anni), Inizio della specializzazione (11-13 anni) . p. 17. (internet) , disponibile all’indirizzo : https://it.scribd.com/doc/8121356/Complete-teaching-method-of-judo-for-children-in-Italian#scribd
l’utilizzo di gruppi muscolari differenti dalla distanza in piedi. Il dispendio energetico, infatti, è circa quadruplicato nella lotta a terra;
la necessità di un approccio “dinamico multivariato”41 più ampio della lotta in piedi. Occorre una conoscenza maggiore di concatenazioni tecniche;
la necessità dell’apprendimento difensivo non solo basato sulla rapidità dei riflessi, ma principalmente su conoscenze teoriche e tattiche del combattimento.
Nella didattica del Judo grande importanza deve essere data a quelle fasce d’età definite della prima e seconda età scolare. Il Judo, in questo caso, risulta adattato (per l’appunto all’età), qui l’accento è posto sullo sviluppo multilaterale delle capacità del bambino. La programmazione in queste fasce si serve del gioco come mezzo per l’apprendimento delle capacità necessarie al futuro judoista. La definizione degli obiettivi dell’apprendimento è fondamentale per rendere graduale il processo di specializzazione al Judo; tale programmazione deve essere coerente con le fasi di sviluppo precedenti e successive. Una precisa definizione degli obiettivi permette inoltre un miglioramento generale della preparazione, salvaguardando i bambini dagli errori di una specializzazione prematura. Filin42, in quest’ottica, divide l’allenamento in quattro tappe fondamentali:
tappa di preparazione preliminare (6-10 anni)
tappa di inizio specializzazione (11-13 anni)
tappa dell’allenamento approfondito (13-17 anni)
tappa dell’alta specializzazione ( dai 17-18 anni in poi)
64
III.3 Lo sviluppo delle capacità motorie in relazione alle tappe auxologiche
Per ontogenesi motoria si intende l’evoluzione umana delle capacità organico-muscolari e coordinative nelle varie tappe della vita. Comprende anche l’evoluzione delle varie forme di abilità motorie, da quelle di base a quelle più specifiche43.
43 Meinel , K. ; Schnabel , G. ; Bewegunslehre , Berlino : Volk und Wissen , 1977. (Trad. It. Teoria del movimento. Abbozzo di una teoria della motricità sportiva sotto l’aspetto pedagogico. Roma : Società Stampa Sportiva , 2000). p.309.
44 Ivi pp.338-354.
45 Ivi p.342.
46 Ivi p.350.
Le fasi dell’evoluzione auxologica vengono schematizzate in: fase neonatale, fase dell’allattamento, fase dell’infanzia, fase prescolare, fase della prima e della seconda fanciullezza, fase della pre-adolescenza, fase dell’adolescenza ed età adulta. Ai fini di questo lavoro risulta utile sviluppare le fasi che vanno dalla prescolare all’adolescenza.
L’età prescolare. La fase del perfezionamento di movimento e dell’acquisizione dei primi movimenti combinati44:
La fase prescolare, anche detta seconda infanzia, comprende il periodo che va dal terzo al quinto anno di vita. Questa fase è caratterizzata dal perfezionamento degli schemi di base e dalle prime combinazioni tra i movimenti. Lo sviluppo si esprime come rapido incremento quantitativo dei risultati, come miglioramento dal punto di vista qualitativo e soprattutto come crescita nella possibilità di variare le singole forme del movimento adattandole alle situazioni. Il perfezionamento degli schemi di base si palesa nel fatto che alcune di esse trovano impiego in combinazione. Nei bambini di tre anni si notano ancora le particolarità proprie dell’esecuzione dell’età precedente, le variazioni notevoli si stabiliscono soprattutto dai quattro ai cinque anni; qui i movimenti infantili diventano visibilmente più rapidi ed energici, aumenta anche l’ampiezza del movimento. Migliora la struttura generale del movimento, il suo ritmo e la fluidità. In particolare si nota padronanza in quelle forme di movimento sperimentate nel gioco, mentre le imperfezioni si rilevano nei movimenti combinati o nuovi. “Il ritmo di sviluppo motorio, complessivamente rapido, del bambino di questa età, risulta poi dal suo comportamento motorio, che è ancora contraddistinto da un impulso spiccato ad essere attivo, a muoversi. [… Rispetto ai bambini di due, tre anni però diminuisce gradualmente la tendenza a cambiare frequentemente l’attività di gioco ed a spostare rapidamente i propri interessi45“. Lo sviluppo delle capacità di forza mostra relativamente pochi cambiamenti rispetto alle fasi precedenti. Per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità di rapidità, a quattro anni l’esecuzione dei movimenti è ancora troppo impacciata e lenta, anche nella velocità di reazione i progressi seguiranno alla fine dell’età prescolare. La capacità di combinazione motoria, in questa età, dipende dallo sviluppo dei singoli schemi di base avvenuto nella fase precedente. ” I bambini di quattro anni sono in grado di combinare di seguito corsa e salto, sono in grado di correre e calciare una palla. La corsa viene sempre più utilizzata come rincorsa (o slancio) per aumentare la propria prestazione, e viene collegata fluidamente all’azione successiva46“. Il bambino ora prova a lanciare in alto e riprendere al volo la palla e questo movimento entra a fare 65
parte del suo patrimonio motorio. La combinazione tra corsa e lancio o tra passaggio e tiro in combinazione viene raggiunta solo da coloro che si sono esercitati in tali esercizi. La capacità di equilibrio raggiunge un ottimo livello, anche grazie al fatto che è una capacità utilizzata nella maggior parte dei giochi. I limiti della capacità di equilibrio compaiono quando, oltre alla capacità di equilibrio, è richiesta una certa dose di audacia, in questo caso compaiono sintomi di insicurezza. La capacità di ritmo si forma già nella prima infanzia, il bambino reagisce bene a ritmi semplici (ad esempio leggero-pesante o il galoppo). La mobilità articolare è buona, la carenza di mobilità del bacino, delle ginocchia, delle spalle, tipica dell’età precedente, diminuisce e termina nell’età prescolare. In questa età risulta evidente che la mobilità articolare non necessita di esercitazione specifica. La promozione dello sviluppo motorio è garantita dalla massima libertà di movimento; in casa, infatti, bisognerebbe avere lo spazio per svolgere un’attività motoria, sotto forma di gioco, il più ampia possibile. Deve essere favorita la possibilità di giocare in gruppo sia per favorirne la socialità sia per stimolarli in modo più completo. “Nell’impostare l’attività motoria con i bambini da tre a sei anni vanno utilizzati nel migliore dei modi le loro capacità, il grande bisogno che hanno di muoversi, la loro voglia di cambiare continuamente attività, la tendenza ad ottenere un risultato che stanno sviluppando, ed il bisogno di imitazione47“. Queste esigenze vanno soddisfatte offrendo esercizi intensivi, ma molto vari, di durata breve e con una difficoltà coerente alle loro capacità. Va utilizzata e favorita la capacità e la voglia di recepire informazioni, vanno gradualmente abituati allo schieramento e a imparare le denominazione di ogni esercizio. Le correzioni degli esercizi devono essere utilizzate solo se strettamente necessarie; i bambini di questa età, infatti, sono scarsamente capaci di elaborare questo genere di informazioni. L’aspetto più importante che deve avere l’attività motoria è la natura intensa e multilaterale delle esercitazioni.
47 Ivi p.353.
48 Ivi pp.354-377.
La prima età scolare. La fase di rapido incremento dell’apprendimento motorio48:
Comprende il periodo che va dal primo al terzo anno di scuola, ovvero dal sesto/settimo al decimo anno di vita. E’ caratterizzata dalla frequenza scolastica, grazie a questa variabile i rapporti tra i bambini e l’ambiente cambiano notevolmente. Contemporaneamente gli obblighi scolastici fanno diminuire il tempo dedicato all’attività libera, risulta di vitale importanza allora lo svolgimento di un’attività motoria adeguata. Molti bambini partecipano in via extrascolastica ad attività sportive; le attività motorie e quelle sportive, se adeguate, possono offrire al bambino una maturazione completa delle sue capacità. Tendenzialmente la mobilità incontrollata tipica della fascia prescolare passa gradualmente ad un comportamento motorio controllato, razionale e adeguato alla situazione. Questo si rispecchia nel rapido incremento delle capacità di apprendimento motorio e di differenziazione. A meno che non venga curato particolarmente agli inizi dell’età scolare lo sviluppo delle capacità di forza è ancora relativamente lento. Le differenze specifiche tra i due sessi non 66
sono ancora di rilievo. Particolarmente bassa è la forza dei gruppi muscolari delle braccia e dell’addome; le capacità di forza degli arti inferiori sono invece notevolmente maggiori, anche grazie al loro largo impiego nelle attività di gioco. Le capacità di rapidità si sviluppano molto più velocemente di quelle della forza, i tassi di incremento annuale si mantengono costanti fino al decimo anno poi gradualmente diminuiscono. Particolarmente importante è il regresso del tempo di latenza e l’aumento del tempo di reazione; molto evidenti sono i progressi nello sviluppo della frequenza di movimento. Tutti i parametri di rapidità, in generale, aumentano fin quando non entra in gioco una percentuale elevata della capacità forza. Notevolmente cambiata è la valutazione sulle capacità di resistenza di questa fascia d’età; le idee di pochi anni fa, infatti, mostravano un bambino che poco tollerava le esercitazioni di resistenza, a questa concezione attualmente si contrappone la visione di un bambino “fondista”49. Molti studi dimostrano una buona capacità di recupero ai carichi di resistenza, è essenziale però che tali carichi rappresentino sollecitazioni di resistenza di medio e lungo periodo, le più adatte a questa fascia d’età. L’incremento delle capacità di concentrazione e comprensione (mentale e verbale) portano il bambino ad un rapido incremento della capacità di comprensione motoria. Questi presupposti diventano importanti poiché è sempre più possibile correggere i movimenti e dare una forma più adeguata al movimento. “Tali capacità però non debbono essere sopravvalutate, specialmente nel primo anno scolastico[…. Solo più tardi, durante il secondo ed il terzo anno scolastico, la capacità di apprendimento motorio raggiunge un livello tale che diventa realmente possibile insegnare efficacemente delle tecniche sportive, e la capacità pedagogica, psicologica dell’insegnante chiaramente ha un’importanza maggiore che negli anni scolastici che seguiranno“50. Si assiste inoltre a uno sviluppo della capacità di controllo, combinazione e ritmo dei movimenti. Nello sviluppo ritmico si distinguono due periodi: nel primo, che va generalmente dal primo al secondo anno scolastico, si assiste a una scarsa capacità di comprendere e interpretare i ritmi di natura sonora. Lo sviluppo in questa fase deve prediligere ritmi semplici e di natura motoria come: il galoppo, la marcia, i saltelli ecc; il secondo periodo vede una stabilizzazione dei ritmi del passo, una sicurezza maggiore nella riproduzione di ritmi terziari e nell’esecuzione di oscillazioni e molleggi. Lo sviluppo della capacità di mobilità articolare è contraddittoria ovvero se ne osserva una diminuzione a livello coxo-femorale e nella spalla, mentre cresce l’ampiezza a livello dell’anca e della colonna vertebrale; queste tendenze rendono necessari esercizi specifici di mobilità articolare, soprattutto in quelle discipline che necessitano di una mobilità articolare superiore. Una programmazione per questa fascia d’età deve tener quindi conto delle specificità di maturazione che le sono caratteristiche. Bisogna tener conto del loro spiccatissimo bisogno di movimento indirizzandoli all’esplorazione mediante il gioco; l’aria aperta e i parchi rappresentano stimoli molto importanti per questa età. “Molti disturbi nel comportamento infantile, ad esempio, il nervosismo, la cocciutaggine, l’irrequietezza psicomotoria, ecc. possono essere provocati, tra l’altro, dal fatto che, o si tiene poco conto del suo bisogno di muoversi, di essere
49 Ivi p.362.
50 Ivi p.366. 67
attivo, o che questo bisogno viene troppo controllato e regolamentato“51. L’apprendimento scolastico dovrebbe tener conto di queste esigenze; nell’insegnamento dovrebbe servirsi del movimento come mezzo ausiliare. Il modo migliore per strutturare un programma di tipo motorio è lo svolgimento di attività intense e variabili. Nello svolgimento di attività sportive extrascolastiche bisogna tener conto del principio della multilateralità, troppo spesso dimenticato a favore dei primi obiettivi agonistici. Il principio della multilateralità va sottolineato, poiché è l’unico modo per ottenere un completo sviluppo psicomotorio.
51 Ivi p.375.
52 Ivi pp.377-390.
53 Ivi p.383.
La seconda età scolare. La fase del miglior apprendimento motorio52:
Comprende le fasce d’età che per le ragazze vanno dal terzo/quarto al quinto/sesto anno scolastico, ovvero all’incirca dal decimo al dodicesimo anno d’età; per i ragazzi la fase va dal terzo/quarto al sesto/settimo anno scolastico, ovvero all’incirca dal decimo al tredicesimo anno d’età. Questa è la fase delle migliori capacità di apprendimento motorio della fanciullezza. Ancora una volta va messa in rilievo l’elevata mobilità dei bambini tuttavia non si tratta più di una mobilità irrequieta e fine a se stessa, è più controllata, razionale, diretta a uno scopo. Dal punto di vista organico-muscolare notiamo incrementi significativi, anno per anno, della forza massima. Risulta importante l’aumento della forza delle braccia che nelle età precedenti risultava molto più squilibrata rispetto gli arti inferiori. Lo sviluppo della resistenza alla forza e della resistenza meritano un approfondimento specifico: generalizzando si può affermare che in queste capacità le differenze individuali sono molto rilevanti; mentre i coefficienti di variazione nella corsa veloce, nel salto in lungo o in alto, e quindi in quei test di rapidità e forza massimale varia dal 10% al 20%; negli esercizi di resistenza alla forza quali piegamenti sulle braccia e trazioni arrivano al 60%-90%. La causa essenziale di queste differenze sta nel fatto che queste capacità sono più allenabili, quindi, più condizionate dall’esercizio. Sullo sviluppo della capacità di rapidità si può dire che i tempi di reazione e latenza, alla fine della seconda età scolare, si avvicinano a quelli degli adulti. Dal punto di vista delle capacità coordinative, la capacità di controllo e quella di combinazione sono caratterizzate da tassi di incremento considerevoli. In questa fase le differenze tra i sessi iniziano a marcarsi, nei ragazzi, infatti, le prestazioni coordinative sia qualitativamente che quantitativamente sono migliori. La seconda età scolare è caratterizzata dal cosiddetto apprendimento a prima vista.”Questa notevole particolarità dell’apprendimento motorio, in questa età, si vede nel come i bambini si impadroniscono rapidamente ed efficacemente di molte forme di movimento, senza bisogno di una guida particolare“53. I presupposti generali di questo tipo di apprendimento sono: lo sviluppo delle capacità coordinative, organico-muscolari e intellettive; i presupposti specifici vanno cercati nella peculiarità percettiva, nello sviluppo della capacità di seguire le esecuzioni altrui e nel livello raggiunto di controllo motorio. ” In particolare appare che, in 68
questa età, i processi di apprendimento motorio non si svolgono ancora attraverso una analisi razionale dell’atto motorio da apprendere, come avviene normalmente negli adulti. I bambini non riflettono molto su come vanno eseguiti i dettagli del movimento, e prevalentemente afferrano come si svolge il movimento nella sua globalità, ripetono mentalmente immediatamente l’esecuzione del movimento che hanno visto, e lo eseguono come un tutto“54. A questa età la mobilità articolare raggiunge il massimo sviluppo e se non sollecitata adeguatamente tende a regredire. L’impostazione dell’insegnamento in questa età è molto importante e deve tener conto del livello di maturazione tipica dell’età. Nell’insegnamento si deve mirare a uno sviluppo completo sia delle capacità organico-muscolari sia di quelle coordinative. Nello sviluppo delle capacità organico muscolari si devono sviluppare le capacità di forza, resistenza, rapidità e mobilità articolare soprattutto tramite esercitazioni di carattere generale. I punti più deboli risultano la forza delle braccia e dell’addome, essi sono sviluppabili tramite giochi o esercitazioni più specifiche. Nello sviluppo delle capacità di resistenza gli esercizi dovrebbero restare nell’ambito della media o bassa intensità di carico. L’addestramento delle capacità coordinative, in questa età, deve essere considerato una necessità. Nell’impostazione del processo di apprendimento occorre tener presente l’importanza della dimostrazione esatta dei gesti, è molto importante che il modello proposto dall’insegnante sia privo di errori proprio per la capacità di imitazione che è tipica di questa fascia di età. Sono inutili, forse addirittura dannose, le istruzioni dettagliate sul movimento e le spiegazioni teoriche prolisse.
54 Ivi p.384.
55 Ivi pp.390-405.
56 Ivi 391.
57 Ibidem
La prepubertà. La fase di ristrutturazione delle capacità e abilità55:
Il carattere motorio dell’età precedente, caratterizzato dall’esigenza di movimento, subisce un ridimensionamento. Si notano atteggiamenti di resistenza e instabilità, indolenza e svogliatezza. Questa fase è stata definita “di crisi”, secondo Meinel tuttavia sarebbe opportuno ridefinirla in: “fase di ristrutturazione delle capacità e abilità motorie“56. ” Soprattutto nei soggetti di sesso maschile, per quanto riguarda la forza massima e la forza veloce, si può prevedere un aumento, durante la prima fase di maturazione. Invece le capacità coordinative e quelle di resistenza, per il momento, si sviluppano solo con una relativa lentezza. Tassi ancora elevati di incremento, si possono stabilire nell’evoluzione delle capacità di rapidità, ma questi poi diminuiscono notevolmente con il termine della prima fase di maturazione. Lo sviluppo della mobilità articolare, invece, ha un andamento contraddittorio. Mentre aumenta nei piani nei quali viene sollecitata, invece, diminuisce, nelle direzioni di movimento poco sollecitate“57. La ristrutturazione delle capacità motorie e lo sviluppo fisico provocano dei cambiamenti nelle capacità coordinative che si ripercuotono nell’esecuzione dei movimenti sportivi. Tendenzialmente gli atti motori, specialmente quelli che prevedono movimenti di tutto il corpo, 69
diventano goffi e sgraziati; il controllo dei movimenti diminuisce, aumenta la rigidità nell’esecuzione del gesto; anche la capacità di adattamento e trasformazione subisce un calo. Le cause scatenanti tale processo sono: la crescita in altezza, che spesso è brusca e non armonica; un notevole aumento ponderale; determinati fattori esogeni ed endogeni che provocano un incremento dell’eccitabilità, e quindi della sensibilità, delle funzioni nervose. Nell’insegnamento la prepubertà non deve essere considerato un momento di stallo, necessita di esercitazioni di stabilizzazione delle capacità motorie. Importante in questa fascia d’età diventa la maggiore considerazione delle differenze individuali. Una particolare attenzione va posta al carico per lo sviluppo della forza che deve avere natura multilaterale e generale per favorire un sano sviluppo scheletrico e muscolare. In questa fascia, per lo sviluppo di un sistema cardiocircolatorio efficiente, è in primo piano il miglioramento della resistenza di tipo aerobico.
L’adolescenza. La fase della crescente individualizzazione58:
58 Ivi pp.405-417.
59 Ivi p.410.
Comprende: per le ragazze il periodo che va dal settimo/ottavo anno scolastico al decimo/undicesimo, ovvero dal tredicesimo/quattordicesimo al diciassettesimo/diciottesimo anno di età; per i ragazzi dall’ottavo/nono all’undicesimo/dodicesimo anno scolastico, ovvero dal quattordicesimo/quindicesimo al diciottesimo/diciannovesimo anno di età. E’ una fase di stabilizzazione nella quale si accentuano le differenze sia tra sessi che tra i vari individui. Per stabilizzazione si intende il superamento della contraddittorietà motoria tipica dell’età prepuberale. Dal punto di vista organico-muscolare caratteristico è un notevole incremento degli indici di forza( questa risulta meno marcata nelle donne). Lo sviluppo della rapidità raggiunge quasi il suo pieno sviluppo già nell’età prepuberale, nei periodi succesivi si possono registrare ulteriori miglioramenti nelle prestazioni di questa capacità. Dopo i quindici/sedici anni le capacità di rapidità ristagnano, fa eccezione la velocità di corsa su brevi distanze (fino a 100 m) in cui le componenti di forza diventano molto importanti. Le ricerche sullo sviluppo della resistenza mostrano una sua stabilizzazione; nelle ragazze raggiungono l’apice intorno ai sedici anni, mentre per i ragazzi si prolungano fino ai venti. Per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità coordinative: “Queste tendenze evolutive, il rafforzarsi dell’espressione di caratteristiche, come la struttura generale, la fluidità, la precisione e la costanza dei movimenti, ci dicono che c’è un miglioramento della capacità di controllo motorio, alla quale si collega strettamente un ulteriore sviluppo della capacità di adattamento, trasformazione e combinazione dei movimenti”59. La mobilità articolare ha andamento contraddittorio, l’ottimale sviluppo di tale capacità nelle grandi articolazioni, si raggiunge a circa venti anni; si assiste invece a un regresso nelle articolazioni non sollecitate adeguatamente. L’adolescenza, in generale, risulta importante per la formazione psicofisica dei giovani,” Il livello di capacità di apprendimento motorio, i progressi nello sviluppo fisico e l’espressione della piena maturità fisica in tutti gli sport, senza eccezioni, permettono un allenamento che prevede richieste elevate sia dal 70
punto di vista delle capacità condizionali, che di quelle coordinative“60. Importante è rispettare il processo di gradualità e di individualità.
60 Ivi p.416.
61 Sacripanti , A. ; Monti , A. ; Judo come esercizio percettivo motorio. Apprendimento di base (6-10 anni), Inizio della specializzazione (11-13 anni) . (internet) , disponibile all’indirizzo : https://it.scribd.com/doc/8121356/Complete-teaching-method-of-judo-for-children-in-Italian#scribd
62 In II.1
63 Sacripanti , A. ; Monti , A. ; Judo come esercizio percettivo motorio. Apprendimento di base (6-10 anni), Inizio della specializzazione (11-13 anni) . p . 18 . (internet) , disponibile all’indirizzo : https://it.scribd.com/doc/8121356/Complete-teaching-method-of-judo-for-children-in-Italian#scribd
III.4 Judo adattato alla prima età scolare61
Il Judo è educazione, cultura e poi anche sport62, la coerenza con tale definizione sottintende un rispetto assoluto verso la figura del bambino. Rispettarlo vuol dire aver cura del suo processo di maturazione, stimolandolo in maniera adeguata e libera, predisponendosi come scopo solamente il suo sviluppo, e non le vittorie agonistiche. Le componenti fondamentali per la buona riuscita di un programma di apprendimento pensato per i bambini sono63:
Un insegnante competente;
Una sequenza appropriata di compiti motori;
Un tempo sufficiente per la pratica.
Una programmazione per questa fascia d’età deve tener conto delle necessità specifiche di questo livello di maturazione:
Necessità di movimento: è l’età del desiderio di azione, pertanto le lezioni devono offrire libertà all’agire e alla sperimentazione del movimento; l’agire non è però sinonimo di agitazione. Le spiegazioni vanno sostituite dalle dimostrazioni;
Necessità di sviluppo cardiopolmonare: attraverso esercitazioni che stimolano la crescita cardiopolmonare e l’ampliamento toracico;
Necessità di ginnastica vertebrale: attraverso esercitazioni bilaterali e di mobilità della colonna;
Necessità muscolari: attraverso esercitazioni generali;
Necessità psicologiche: la curiosità tipica di questa età va accuratamente stimolata variando opportunamente gli esercizi. A questa età il gioco è un bisogno e risulta formativo per quelle capacità fondamentali per il judo. I giochi didattici dovranno iniziare come semplici esercizi che andranno a complicarsi con la maturazione dei bambini.
71
Nell’allenamento tecnico sia dal punto di vista biomeccanico sia pedagogico risulta utile l’idea di privilegiare lo studio della lotta a terra. Questo metodo consente una sollecitazione minore alla muscolatura di sostegno, sviluppa in modo generalizzato la muscolatura complementare e abitua a vincere la paura psicologica della caduta. Per l’apprendimento delle tecniche di proiezione è opportuno privilegiare l’insegnamento di tecniche che prevedono il doppio appoggio dei piedi a terra, questo fa si che si evitino carichi pericolosi per le ginocchia, che risultano particolarmente sensibili in questa fascia d’età . Il discorso si amplia anche all’articolazione del gomito, è opportuno quindi non lavorare troppo con tecniche come il Morote-seoi-nage in cui l’articolazione è particolarmente sollecitata. In generale fino all’età di otto anni le tecniche con caricamento su di una gamba sono da allenare mediante esercitazioni da fermo, poiché l’esecuzione continua in movimento potrebbe andare a ledere le strutture articolari sensibili. Per gli stessi motivi risulta pericoloso allenare prima dei dodici anni tutti gli Shime-waza (strangolamenti) a causa della maturazione in corso del sistema cardiocircolatorio. Lo studio graduale di tutte le tecniche in piedi potrà partire all’incirca dall’età di dieci anni. Da tener in grande considerazione risultano quindi: la debolezza dello scheletro (particolarmente riferita alla spina dorsale, al gomito e alle ginocchia), la maturazione del sistema cardiocircolatorio e quello muscolare.
A. Sacrispanti64 sviluppa un programma guida con l’intento di chiarire la progressione ottimale dell’apprendimento delle tecniche di Judo, tenendo conto del livello di maturazione di questa fascia d’età. Il programma, approvato dal Comitato Regionale Judo del Lazio, è così strutturato:
64 Sacripanti , A. ; Monti , A. ; Judo come esercizio percettivo motorio. Apprendimento di base (6-10 anni), Inizio della specializzazione (11-13 anni) . p.28. (internet) , disponibile all’indirizzo : https://it.scribd.com/doc/8121356/Complete-teaching-method-of-judo-for-children-in-Italian#scribd
Cintura bianca da 6 a 8 anni: De-ashi-barai, Ko-uchi-barai, Tai-otoshi, Eri-seoi(con sbarramento), Sasae-tsurikomi-ashi, Hiza-guruma, O-soto-otoshi(come sbarramento).
Cintura gialla da 9 a 10 anni: O-uchi-barai, Koshi-guruma, Uki-goshi, O-goshi, Ippon-seoi-nage, Eri-seoi-nage.
Cintura arancione da 10 a 11 anni: Tsuri-komi-goshi, Morote-seoi-nage, O-soto-gari, Ko-uchi-gari, O-uchi-gari, Sode-tsurikomi-goshi.
Cintura verde da 11 a 12 anni: Harai-goshi, Uchi-mata, Tani-otoshi, Tomoe-nage, Yoko-tomoe, Ushiro-goshi, Te-guruma, Sukui-nage.
Cintura blu: Yoko-guruma, Hane-goshi, Ko-uchi-gakè, O-uchi-gakè, O-soto-gakè, Ko-soto-gakè, Okuri-ashi-barai.
Cintura marrone da 13 a 15 anni: Harai-tsurikomi-ashi, Hikkomi-gaeshi, Sumi-gaeshi, combinazioni tecniche, contro tecniche, Shime-waza, Kantsetsu waza, ripetizione bilaterale del programma.
L’insegnante, ricordando che l’attenzione in questa fascia è altalenante deve basarsi,come già detto, su giochi didattici finalizzati, mantenendo viva l’attenzione dei suoi allievi. Le difficoltà dei giochi dovranno aumentare di pari passo con l’età e il grado di maturazione psicofisica dei bambini, ma non dovrà sacrificarsi tuttavia l’aspetto tecnico. Esercitazioni tecniche opportunamente dosate tra i vari giochi 72
avranno effetto ludico sui bambini; la proiezione e l’immobilizzazione saranno il risultato del gioco.
L’uso dei giochi dovrà:
Dare coscienza delle proprie capacità;
Soddisfare il desiderio di attività;
Conservare la gioia dell’apprendimento.
L’uso dei giochi, inoltre, dovrà avere obiettivi specifici di apprendimento, così riassumibili65:
65 Sacripanti , A. ; Monti , A. ; Judo come esercizio percettivo motorio. Apprendimento di base (6-10 anni), Inizio della specializzazione (11-13 anni) . p.31. (internet) , disponibile all’indirizzo : https://it.scribd.com/doc/8121356/Complete-teaching-method-of-judo-for-children-in-Italian#scribd
Giochi che portano alla padronanza degli spostamenti
Giochi che portano alla padronanza del controllo del corpo
Giochi che portano alla padronanza del contrasto
Giochi che portano alla padronanza della tattica
Giochi che portano alla padronanza della difesa
Esempi di giochi di padronanza degli spostamenti sono:
Lo stagno di Sarusawa (consapevolezza del corpo, feedback comparato, attenzione ai segnali): i bambini in fila imitano l’insegnante che effettua semplici movimenti. Il primo della fila, al segnale dell’insegnante, lascia la fila, sale su una panca e fa un salto (un tuffo nello stagno) poi si riunisce alla fila prendendo l’ultimo posto.
La strada del Samurai (consapevolezza delle distanze, capacità di comprensione degli ordini, equilibrio): usando le cinture e piccoli attrezzi si crea un percorso ad ostacoli con regole di transito.
L’onda (consapevolezza delle azioni spinta e trazione, equilibrio, orientamento spaziale): due bambini vengono posti in un cerchio in ginocchio, uno spinge o tira fuori dal cerchio, mentre l’altro cerca di resistergli.
Esempi di giochi di padronanza del corpo sono:
Le movenze degli animali (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione): i bambini devono percorrere un percorso sul tappeto contraddistinto da tappe con andature diverse ispirate ai movimenti degli animali.
Aggiungi un’acrobazia (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, creatività): ogni bambino, a turno, costruisce un cerchio con la sua cintura; il primo vi fa un saltello dentro, il secondo aggiunge il suo cerchio, ripete il gesto del compagno e aggiunge un’acrobazia saltando il secondo cerchio ecc.
La caduta dell’albero (sviluppo dei riflessi, equilibrio, agilità, coordinazione, attenzione): due bambini si appoggiano a vicenda sulle rispettive schiene e al segnale dell’insegnante uno ruota e l’altro cade all’indietro.
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La caduta nella valle (sviluppo dei riflessi, equilibrio, agilità, coordinazione, attenzione): un bambino è in posizione quadrupede l’altro si avvicina e utilizzando il compagno esegue una caduta in avanti.
Esempi di giochi di padronanza del contrasto sono:
La giravolta (sviluppo dei riflessi, equilibrio, agilità, coordinazione, attenzione): un bambino, supino, a comando dell’allenatore tenta di voltarsi prono l’altro tenta di impedirlo.
La grande fuga (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo): un bambino supino cerca di scappare verso un traguardo l’altro cerca di impedirlo.
Il cerchio infernale (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo): i bambini sono divisi in due squadre da tre, alternandosi formano un cerchio tenendosi per le maniche, ogni componente di una squadra tenta di atterrare il vicino con sgambetti e squilibri. Il bambino che cade esce dal cerchio.
Esempi di giochi di padronanza della tattica sono:
Cambio di velocità (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo): si divide il tatami in tre zone, i bambini in coppia dovranno percorrere ogni zona con andatura diversa. Tori dovrà applicare in ogni zona una tecnica diversa di proiezione e se non vi riesce viene eliminato. Uke farà entrare la proiezione di tori, poiché la difesa è basata sulla schivata.
La coscienza spaziale ( equilibrio, agilità, coordinazione, controllo e consapevolezza dell’azione, struttura dello spazio): un bambino viene bendato e percorre il tatami più volte con l’aiuto di un compagno, all’alt dell’allenatore prova a descrivere in che zona si trova.
Il dragone (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo e consapevolezza dell’azione, struttura dello spazio): i bambini si mettono in fila tenendosi stretti al torace (formando un dragone), un bambino svolge il ruolo del guerriero. Il guerriero uccide il dragone se tocca la coda (l’ultimo bambino); il dragone uccide il guerriero se la testa ( il primo bambino) lo tocca.
Lotta nel quadrato (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo e consapevolezza dell’azione, struttura dello spazio): si tracciano dei quadrati di due metri per due. I bambini devono spingersi fuori dal quadrato reciprocamente.
Esempi di giochi di padronanza della difesa sono:
I palloni avvelenati (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo e consapevolezza dell’azione, struttura dello spazio): i bambini sono divisi in due squadre da tre e alternativamente si tengono per le maniche. Si spingono l’un l’altro verso due palloni posti al centro del tatami, chi tocca un pallone è eliminato.
Piede incrociato ( sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo e consapevolezza dell’azione, struttura dello spazio):i bambini a coppia si legano reciprocamente con la cintura lo stesso piede e tentano di atterrarsi tirando e spostandosi velocemente. L’uso delle mani è proibito.
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Il punto debole (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo e consapevolezza dell’azione, struttura dello spazio): i bambini legano un fazzoletto ad un ginocchio, tenendo una mano bloccata dietro la schiena tentano di toccare il fazzoletto del compagno.
Il combattimento bloccato (sviluppo della forza, equilibrio, agilità, coordinazione, controllo e consapevolezza dell’azione, struttura dello spazio): due bambini si pongono con un piede contro l’altro e si afferrano saldamente per una mano. Si spingono con tutta la loro forza cercando di far cadere o spostare l’avversario.
III.5 La programmazione dell’apprendimento nel Judo
Il Maestro C. Barioli è stato nel panorama internazionale uno dei più grandi esponenti del judo-educazione. Il programma utilizzato dal Maestro può essere riassunto in tre macro fasi:
Corso elementare
Corso Base e Sviluppo dello Speciale
Esame di Grado
Il Corso elementare: “ha la ragione necessaria di stabilire un rapporto tra discente e docente in ragione della conoscenza da trasmettere“66. Nel corso elementare il maestro si presenta agli allievi, spiega il judo e illustra i risultati potenziali derivanti da tale pratica. “L’insegnante mostra dunque il judo e chiede figuratamente all’allievo: Sei d’accordo che io ti insegni questo?“67. Si verifica se il futuro allievo ha interesse nella pratica, se abbia: “idoneità a convivere nel gruppo, fiducia nel maestro e interesse per l’arte“68.
66 Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p.129.
67 Ivi p.130.
68 Ivi p.131.
69 Ivi p.132.
Il Corso Base e lo Sviluppo dello Speciale offre esperienze sintetizzabili in sette punti:
Lo spirito del rispetto, ritualizzato nel saluto e sviluppato nella pratica con gli altri;
Lo studio della tecnica, argomento che introduce al “ora io aiuto te e poi tu aiuti me“69;
L’energia, esercitata nel combattimento e governata dalla propria intenzione;
Il duro allenamento, come conoscenza del limite del proprio corpo;
L’esercizio libero, in cui la concentrazione fissa le facoltà corpo e mente nell’unico obiettivo;
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Lo stato di mente vuota (mu-shin): sintetizzabile nel detto “senza desiderio e senza paura”, riconducibile ad una meditazione in movimento;
L’estetica del principio, ovvero l’espansione di coscienza: ottenuta nel gesto magistrale e riconducibile alle peak experience . L’ippon magistrale “nasce quando lo stato di mu-shin fonde armonicamente spirito del rispetto, tecnica, energia, distacco dai sensi e creatività a formare un insieme che può essere classificato come una condizione dell’animo. E’ un avvenimento che sorprende ogni volta perché il risultato è superiore alla somma delle parti. Favoriti dalla circostanza, gli ingredienti del judo portano all’espansione di coscienza“70.
70 Ivi p.133.
71 Ivi p.135.
72 Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998. p.98.
Lo Sviluppo dello Speciale: si inserisce a Corso Base inoltrato. Dal momento in cui inizia la pratica del randori insegnante ed allievo si concentrano sulle preferenze e le attitudini tecniche che offrono all’individuo maggiore efficacia. La sorgente di tale ricerca è l’intuizione nell’azione. Identificata la tecnica adatta nella fase specifica essa viene ripetuta secondo esercizi specifici e a difficoltà crescente.; l’obiettivo è ottenere che la tecnica scelta riesca facilmente nell’esercizio libero.
L’esame di grado cintura nera: è un rito che ben eseguito porta effetti benevoli al praticante. Successivo al grado di cintura nera è l’approfondimento della tecnica, poiché il judoista: “Non si accontenta di uno speciale, ma ne approfondisce altri, costruendo il suo universo di judo“71.
Il judoista percorre, quindi, una programmazione in cui comincia a dare tutto se stesso al judo. E’ la prima fase in cui l’allievo si dona con tutto se stesso all’arte, poiché mosso dalla passione.
Segue la fase del dare tutto se stesso attraverso il Judo, è il tempo in cui avviene la scoperta dell’altro, si manifesta favorendo la crescita del gruppo di studio, mantenendosi disponibili verso altri.
Si prosegue con dare tutto se stesso agli altri, è la scoperta della responsabilità sociale dell’uomo integrato, tappa che è racchiusa nel principio etico: “realizza te stesso per progredire insieme”.
Infine c’è dare e basta, punto culminante del ciclo72. Questo è il dare esistenziale Zarathustriano, si riferisce al dono che non pretende contraccambi, poiché: “L’albero fa del suo meglio per fare le pere, incurante se poi finiranno per marcire a semente o 76
divorate dagli uccelli, sulla tavola del contadino o su quella del re [… questo è il dare dell’universo, a cui si ispira la Via“73.
73 Ivi p. 99. 77
Conclusioni
La trattazione dei diversi argomenti ha indagato il rapporto che passa tra la visione pedagogica di Bertin e quella di Kano. Figure diverse per formazione, estrazione culturale, e tradizioni. Eppure entrambi, partendo da orizzonti diversi, convergono nel definire l’educazione un mezzo per affrontare la realtà. Questa viene intesa come il processo di integrazione tra le istanze soggettive e quelle oggettive, non è quindi a se stante, unica, ma un processo che lega indissolubilmente la propria soggettività all’oggettività del fenomeno, ha in definitiva il carattere della problematicità. Bertin, definisce la realtà partendo dalla ricerca filosofica di A. Banfi, mentre Kano è influenzato dalla concezione di realtà della tradizione orientale. Affrontare la realtà vuol dire quindi affrontarne la sua problematicità, attraverso un processo che può portare a diverse visioni integrative (tra soggettivo e oggettivo) e, purtroppo, anche a considerazioni alienanti; è il caso delle integrazioni egocentriche ed eterocentriche. La scelta integrativa risulta, per Bertin, l’unica “razionale”, la più auspicabile, poiché data dall’integrazione più ampia possibile delle istanze soggettive e oggettive, che non mira quindi alla deformazione o eliminazione delle antinomie. La personalità “razionale” accetta cioè le contraddizioni dell’esistenza, ma si impegna a risolverle sul piano stesso in cui insorgono. La razionalità a cui si riferisce Bertin è composta una “ragione nuova”, definita “proteiforme” per specificarne l’opposizione a una sua interpretazione intellettualistica, inevitabilmente unilaterale e quindi dogmatica. La ragione proteiforme al contrario è complessa, comprende le istanze: estetiche, etiche, emotive e intellettuali, e diventa lo strumento attraverso cui affrontare la realtà.
Jigoro Kano, attraverso il principio del “miglior impiego dell’energia”, invita ad affrontare la quotidiana con razionalità, integrando le varie energie che costituiscono l’uomo in modo che non si contrastino o annullino a vicenda, e orientandole verso il superamento dell’esperienza, che parafrasando Bertin è problematica.
Secondo Bertin, la razionalità è l’esigenza per l’uomo di sentirsi libero da un orizzonte “finito”, delimitato, chiuso nella sfera egocentrica dell’individualità, in poche parole è un’esigenza etica. E’ sul piano etico infatti che si compie l’istanza razionale della personalità. Bertin sintetizzerà il suo principio etico nel : “realizza te stesso realizzando gli altri”. Kano, proporrà: “realizzare se stessi per progredire insieme”. I due principi etici sottintendono la stessa cosa, invitano a una visione intersoggettiva dell’esistenza, aprono alla visione antiegocentrica del “dono”.
L’obiettivo dell’educazione, sia per Kano sia per Bertin, è quindi la trasmissione del senso del “dono” che, essendo fine a se stesso, non pretende contraccambi. Entrambi pensano all’educazione come il veicolo che combatte l’egocentrismo.
Le due pedagogie risultano, quindi, fondate su due principi fondamentali: il primo (“l’esigenza razionale” – “il miglior impiego dell’energia”) mira a sviluppare una coscienza libera e critica; il secondo è un principio etico (“realizza te stesso realizzando gli altri” – “realizzare se stessi per progredire insieme”), che apre all’intersoggettività 78
dell’esistenza. Tali principi portano all’obiettivo finale delle due pedagogie, che si risolve nella visione antiegocentrica della vita.
Jigoro Kano, proporrà la trasmissione di questi principi attraverso il corpo, poiché considerato un mezzo potentissimo di conoscenza, attraverso cui è possibile esperire ciò che non può essere compreso intellettualmente. Lo studio del Judo si qualifica come ricerca di unione armonica tra i gesti e una certa disposizione mentale, affina la percezione ad una sensibilità profonda attraverso cui imparare a guardare se stessi, gli altri e l’intera esistenza, attraverso cui, in definitiva, fare “esperienza diretta” dell’intersoggettività che tutti ci lega. È in questo senso che il Judo può essere considerato una pratica meditativa in movimento. Il Judo dedica la propria attenzione alla relazione del corpo individuale con lo spazio che lo circonda e con i corpi degli altri individui inclusi in tale spazio. È in tale interdipendenza, vissuta dal praticante, che i risvolti etici si manifestano nel gesto. Il judoista, tramite queste esperienze, comprende la natura intersoggettiva della realtà. Queste esperienze rimandano alle ricerche di Maslow sulle peak experience, ovvero quelle esperienze che sono molla del processo di integrazione definito autorealizzazione. Secondo A. Maslow, nelle persone che hanno avuto tale esperienza: “l’elemento volitivo, quello cognitivo, quello affettivo e quello motorio risultano meno separati l’uno rispetto all’altro, e più sinergici; vale a dire, operano in collaborazione, senza conflitto, per raggiungere i medesimi fini“248. Gli individui autorealizzanti si perdono nell’oblio del percepire, del fare, del creare: “Questa capacità di incentrarsi sul mondo anziché essere preoccupati di se stessi, e cioè egocentrici e orientati verso la gratificazione, diviene tanto più difficile quanto più la persona è dominata dai bisogni carenziali. Quanto più una persona è motivata all’accrescimento tanto più potrà incentrarsi sui problemi, e tanto più potrà lasciare dietro di sé la preoccupazione di sé, impegnandosi nel mondo“249.
248 Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).p.206.
249 Ivi p.46.
250 Lefebvre , H. ; Régulier , C. ; La révolution n’est plus ce qu’elle était . Paris: Libres – Hallier , 1978 (Trad. It. La rivoluzione non è più quella . Bari: Dedalo libri , 1980) , p.183.
Il Judo si mostra come un metodo educativo pluridimensionale che mira all’autorealizzazione, ma con l’obiettivo di indirizzare l’autorealizzazione personale verso il principio etico del “realizzarsi per progredire tutti insieme”, quindi verso una visione intersoggettiva della vita. Il Judo è quindi un metodo che in questo contesto storico, dominato dall’egoismo, si propone controcorrente, si propone come mezzo per aiutare l’umanità a superare la grave contraddizione che la caratterizza. Questa visione potrebbe anche apparire utopica, ma “l’utopia di oggi è il possibile di domani“250. 79
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